Il percorso formativo missionario 2019 della Diocesi di Macerata

IL RACCONTO DEL PRIMO INCONTRO

POVERI. NOI?
Sono nata dove la pioggia porta ancora il profumo dell’ebano
Una terra dove il cemento ancora non strangola il sole
Tutti dicevano che ero bella come la notte africana
E nei miei occhi splendeva la luna, mi chiamavano la perla Nera…
A 16 anni mi hanno venduta, un bacio a mia madre e non mi sono voltata
Nella città con le sue mille luci per un attimo mi sono smarrita…
Così laggiù ho ben presto imparato che i miei sogni erano solo illusioni
E se volevo cercare fortuna dovevo lasciare ogni cosa”

Quante storie come questa hanno attraversato e continuano a solcare il nostro mare. Quante notti africane non conoscono più quello sguardo di speranza che attende lì il suo domani. Ebano dà voce a storie di fuga, di sogni infranti, di possibilità smarrite. Loro, sono quelli che scappano, sono loro i poveri di questo tempo che bussano alle nostre delicate coscienze. E noi? Noi apriamo, chiudiamo, ci commuoviamo, scappiamo, denunciamo. Noi, dentro quel mondo che tutto rende narcotizzato, siamo spesso capaci di riconoscere le differenze, noi e loro, mai le analogie, profondamente convinti che i poveri sono loro e noi non possiamo farci nulla, se non a volte difenderci. Questo siamo noi? Sono davvero loro i poveri d’origine controllata?
“Noi noi no”, grida il testo di un’altra nota canzone. E proprio da questa sonora provocazione, che ancor più oggi squarcia il nostro orizzonte, nasce l’idea del percorso formativo missionario diocesano: “Poveri. Noi?”. Un’iniziativa promossa dall’equipe del Centro missionario per offrire ai giovani e meno giovani un tempo di riflessione sull’uomo e il mondo in cui vive. Come ci ricorda con chiarezza Papa Francesco: “Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere » (At 20,35). Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. Ciò non è altro che un lento suicidio. (…) Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo.”. Una parola così vera e inequivocabile: scoprirsi missione, essere una missione, prima ancora di partire o essere in missione. Il percorso pertanto, strutturato in quattro incontri di due ore e un week-end, si pone questa finalità: costruire un cammino di animazione e formazione missionaria che accompagni, soprattutto i giovani, a maturare la scelta di vivere un’esperienza missionaria estiva di servizio e condivisione, sia in Italia che all’estero. Una scelta guidata dalle proposte delle associazioni e i gruppi missionari della Diocesi, favorita dalla conoscenza di iniziative di servizio e sensibilità missionaria presenti sul territorio, ma soprattutto nutrita di una consapevolezza fondamentale: scoprire l’umanità, quella vicina, quella lontana, quella che grida dentro ognuno di noi. Dalla coscienza di chi siamo, come viviamo nel nostro mondo occidentale, tracotante di mezzi, ma povero di senso e di relazioni autentiche, alla scoperta di quanto l’informazione possa confondere, piuttosto che formare alla verità. Decidere di partire, lasciare sicurezze per incontrare un mondo altro richiede coraggio, ma prima ancora la capacità di guardare con onestà che cosa accade intorno a noi. Tante le povertà, le ingiustizie, le guerre che travolgono il mondo. Risposta non c’è alle tante contraddizioni che si vedono, si sentono, si toccano. Offrire un luogo perchè tutto questo possa essere condiviso con umiltà e senso critico è un’opportunità da non perdere. Ogni uomo è una missione.

La missione di ogni uomo è prima di tutto non rinunciare a cercare un senso, un senso che risulterà più vero se costruito e sperato insieme. Per chi con noi vuole dire “noi no”, il prossimo incontro è sabato 9 marzo alle h. 17 presso il convento dei Cappuccini di Recanati: “Quali vie per essere meno poveri? Il potere della corretta informazione”, una riflessione guidata da Vincenzo Varagona, giornalista Rai.

IL RACCONTO DEL SECONDO INCONTRO

” Maestro disegna su una lavagna un uccello e chiede ai suoi discepoli cosa vedono. Tutti rispondono un uccello. Lui li guarda scuotendo la testa. Non è un uccello ma un cielo vasto in cui sta passando un uccello”.
Vedere la vastità ci aiuta a dare il senso giusto anche ai particolari.
 
Il secondo incontro del cammino missionario sul tema: povertà e comunicazione. Quali vie per una comunicazione autentica?, attraverso il confronto con Vincenzo Varagona ci ha permesso di confrontarci sul delicato tema della ricerca della verità nel mondo dell’informazione. Tanti gli spunti offerti tra tutti la necessità di trovare empatia con la realtà che si descrivere e soprattutto puntare ad un’informazione che non sia autoreferenziale ma che colga in profondità i nodi della vita. Un’informazione che racconti sogni, storie e conquiste. E che risvegli il cuore al gusto della bellezza e della condivisione.

 

IL RACCONTO DEL TERZO INCONTRO

 
Si è svolta sabato 23 marzo la terza tappa del cammino missionario, Poveri. Noi?, organizzato del centro missionario diocesano di Macerata.
Con suor Elisa, suora missionaria Francesca di Assisi ci siamo interrogati sul perché partire. Scegliere di partire non è facile, richiede il coraggio di lasciare ma anche la responsabilità di sapere che incontrare una terra diversa, povera, fa cambiare il cuore. Non si torna come si è partiti. Molti e profondi gli spunti che ci ha fornito tutti esemplificabili in un’unica provocazione:

Gli africani sono distesi su una terra ricchissima che non possono usare. Non si tratta più di insegnare loro come pescare ma di restituire tutto il pesce che l’occidente nei secoli ha preso impropriamente. Se andate in Africa non partite per portare qualcosa di vostro ma per restituire quello un piccolo pezzo di quello che è stato loro preso”.
Così come è risuonato forte  in tutti noi il messaggio che le ha lasciato in Togo papa Giovanni Paolo II: “Promettimi che non ti arrendi e non smetti di dedicare la tua vita ai bambini poveri dell’Africa. Sono loro il vero volto di Dio”.
 

IL RACCONTO DEL QUARTO INCONTRO

Il cammino missionario “Poveri. Noi” ha vissuto un altro appuntamento sabato 6 aprile nel convento dei Cappuccini di Recanati. Attraverso l’intervento di Attilio Ascani del CVM abbiamo toccato più in profondità la questione della povertà. Un viaggio interessante attraverso i numeri che ci ha portato a toccare con mano alcune profonde contraddizioni del nostro mondo. Siamo partiti analizzando l’Agenda 20-30 per lo sviluppo sostenibile: l’ obiettivo è che “nessuno rimanga indietro” attraverso la valorizzazione di politiche globali legate 5 p, persone, pianeta, pace, povertà, prosperità. Ma è davvero possibile eradicare la povertà? I dati sono impressionanti: 783 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà con meno i 2 euro al giorno e più della metà sono nell’Africa subsahariana. I 15 paesi più poveri al mondo sono tutti africani e sono paesi ricchissimi di risorse. Povertà, risorse, guerra: un terribile intreccio di morte. Dove non ci sono risorse, non ci sono interessi in gioco, e nè guerre: questa è sicuramente una certezza. Altro dato, tratto dal rapporto Oxfam sulle disuguaglianze del 2018: sono 26 i miliardari nel mondo, 26 persone che possiedono da soli la stessa proprietà di 3,8 miliardi di persone che costituiscono la metà della parte più povera del mondo. Seguendo numeri e dati il sentiero tracciato conduce ad un’unica fondamentale conclusione: le problematiche mondiali sono legate ad un sistema. Non si possono affrontare se non mettendolo in discussione. Chi può davvero farlo. Noi. E’ il noi del nostro cammino che ci provoca in prima persona. non gli altri, ma noi, ognuno di noi. Come? La ricetta è semplice: consapevolezza e il coraggio delle piccole scelte. Siamo tutti cittadini, elettori e consumatori. Basterebbe sapere che ciò che io compro ha una storia che nasce da lontano e che un prodotto che metto sulla mia tavola può essere vita non solo per me.

Il cammino formativo continua con il week end del 18 e 19 maggio presso casa Sant’Elena di Cingoli. “Le risorse della relazione”. Nulla si trasforma se non dentro un impegno di bene comune.

IL RACCONTO DEL WEEK END FORMATIVO CONCLUSIVO

CINGOLI – Anche quest’anno il gruppo missionario di Eumega ha scelto un weekend di maggio e la casa delle suore di Avenale per iniziare a capire cosa significa convivere con l’altro in attesa della partenza per l’Africa, fissata per il 22 luglio. La proposta si inserisce all’interno del cammino missionario diocesano “Poveri. Noi?”, che ha visto proprio in questo momento di condivisione l’ultima tappa di confronto, prima del mandato missionario del 15 giugno. L’incontro si è svolto quasi a chiusura di un percorso iniziato qualche mese fa. Perché l’Africa, e qualsiasi esperienza di servizio missionario all’estero o in Italia, non inizia quando si atterra all’aeroporto di Lomè, o nel porto di Siracusa, ma è un’esperienza che comincia qui in Italia. È un cammino di conoscenza, di scoperta, di condivisione, di accoglienza, di relazione con l’altro. E l’altro è sia chi sceglie di partire, sia chi in questo percorso ti accompagna ma poi ti saluta all’aeroporto, seguendoti da lontano con il pensiero.
Il pomeriggio è stato caratterizzato da una lunga e piacevole chiacchierata con Claudia, responsabile del Centro di Ascolto di Macerata, con sede a Rampa Zara, e con Omar, Abdoul e Medhanie (mi scuseranno se i loro nomi non si scrivono esattamente così). Claudia, una persona davvero dolce e dagli occhi generosi, ci ha spiegato come funziona la realtà dell’Associazione. Un Luogo aperto tutti i giorni, che accoglie chi riesce ad approdare vivo alle coste di Lampedusa e simili dopo il lungo e pericoloso viaggio in mare. L’associazione li introduce nella nostra società prendendoli per mano, insegnando loro l’italiano, condizione imprescindibile per trovare lavoro. L’associazione garantisce anche un pasto a tutti i bisognosi, contando tanti volontari che mandano avanti la mensa anche nei giorni rossi del calendario. Dopo un primo momento di spiegazione, la parola è passata ai protagonisti del lavoro della struttura. Il primo a prendere la parola è stato Omar, 24 anni del Gambia. La sua è stata una testimonianza breve ma intensa. Omar è stato uno delle vittime di quel atto razzista, disumano e scellerato di in quel terribile sabato mattina del 3 febbraio 2018, che nessuno dimenticherà. Omar raccontava che mentre passeggiava per le vie di Macerata, come solito fare nel weekend, giorno di riposo dal lavoro di muratore che lo tiene occupato per tutta la settimana da quasi 5 anni, è stato colpito da una pallottola di Traini, ora condannato a 12 anni di reclusione. Ci ha raccontato con voce spaventata il difficile periodo successivo di convalescenza all’ospedale, nonché la paura con cui poi è tornato a camminare per le strade, guardandosi sempre le spalle. Impossibile descrivere la tensione emotiva che c’era nell’aria, occhi lucidi commossi, mani giunte, braccia conserte perché Omar poteva essere ognuno di noi. Poi la parola è passata ad Abdoul, 29 anni del Mali. Abdoul, dal carattere completamente diverso rispetto a quello di Omar, ci ha raccontato il lungo esodo che lo ha tenuto impegnato da casa sua a quando poi è riuscito a sbarcare in Italia. Il suo viaggio è durato 1 anno e 3 mesi. Abdul ha lasciato una famiglia da cui non si sentiva compreso e una moglie ed un figlio, perché sperava in una vita migliore. Il viaggio è stato lungo. Non aveva soldi. È partito con i vestiti che aveva addosso, tanta speranza e tanto coraggio di farcela. Attraversare gli stati che lo separano dai porti della Libia è stato difficile. Puntualmente doveva fermarsi a lavorare nei posti che attraversava per poter mangiare e per poter accantonare soldi per continuare il suo viaggio. Il momento più toccante del racconto è stato quando ha dovuto attraversare il deserto a piedi. Sulle spalle aveva una corda alle cui estremità erano legate due bottiglie d’acqua da 1L ciascuna. Solo 2L d’acqua per sopravvivere. Ecco è a questa immagine che vorrei che i giovani di oggi, i genitori, gli insegnanti e i nostri politici pensassero tutte le volte che si trovassero a sentire o a fare per primi accuse razziste e omofobe, che ormai purtroppo dilagano nel nostro paese. Il pomeriggio è volato velocemente fra domande, racconti e sorrisi. Salutati i nostri amici africani e appagato il senso di fame che alle 21, ormai, si faceva sentire, il gruppo (tutte donne delle più varie età: Anna Maria, Tita, Chiara, Deborah, Giulia, Valentina, Irene e Gloria) ha avuto il piacere di guardare il film “i Fantasmi di Porto Palo”, serie TV di Rai1 di due puntate con Beppe Fiorello. Un film egregiamente riuscito dai temi perfetti per un incontro come quello che ha riunito i partenti e non. Chi lo ha visto sa di cosa sto parlando. Per chi non l’ha visto, invece, questa può essere un’ottima occasione per prendersi circa 90 minuti di spunti di riflessione non solo su uno dei temi caldi del momento, l’immigrazione, ma anche su un tema connaturato all’umanità: l’altruismo, che è sinonimo di generosità, che a sua volta è sinonimo di bontà.
Passata la notte tutte insieme nella stessa stanza, dove c’erano 4 letti a castello, l’indomani mattina è stato il momento di guardare dentro noi stessi, grazie all’aiuto di Sabina Casavecchia, Consulente Familiare iscritta all’A.I.C.C.E.F., dell’associazione “Qui ed ora di Osimo”. Sabina ci ha preparato un laboratorio “piscologico” molto carino, un percorso che è partito da tre domande per presentarci: come ti descrivi con un aggettivo, qual è la prima cosa che noti negli altri e cosa è per te l’accoglienza. A seguire un altro momento: avevamo a disposizione degli oggetti per fare una valigia, dentro dovevamo mettere tre cose che rappresentassero tre spunti: cosa lascio, cosa mi serve per combattere la paura, cosa metto nella relazione d’aiuto con il prossimo. È stato un lavoro individuale, poi condiviso in sottogruppi e a sua volta raccontato all’intero gruppo. Confrontarsi anche con chi non conosci, ascoltarlo, comprenderlo e poi trovare una sintesi tra le diverse posizioni è un lavoro che facciamo tutti i giorni ogni volta che mettiamo piede fuori casa. Se c’è una cosa che Sabina, in sole due ore, mi ha fatto riscoprire, è la bellezza e la straordinarietà dell’incontro.
I momenti descritti, scanditi dagli appuntamenti tipici della vita in convento (vespri, lodi, messa della domenica), sono stati tutti così straordinariamente unici e allo stesso tempo così umani che anche questa volta, così come l’anno scorso, sono tornata a casa con un bagaglio pieno di emozioni belle e indimenticabili. Bisognerebbe sempre prendersi un tempo per fermarsi e restare in ascolto, di se stessi, degli altri, lontani dalla vita frenetica della città, immersi in ciò che più ci rende felici: la natura, la preghiera, le persone.
I singoli particolari del weekend sono stati così tanti che sarebbe impossibile descriverli tutti. Sono occasioni queste che vanno vissute personalmente per capire cosa ti rimane dentro. Un ringraziamento a tutti quelli che hanno fatto parte dei singoli momenti è d’obbligo, grazie alle suore che ci hanno ospitato, grazie a chi ci ha preparato da mangiare, grazie a chi ha colorato il tempo insieme con il proprio impegno e con le attività organizzate, grazie al gruppo, perché è stato sempre unito e sempre pronto a sorridere, grazie a chi, continua a credere in tutto questo. Buon viaggio a tutti

Irene Serafini
(per Eumega)