Celebrata la Veglia di preghiera per i Missionari Martiri 2019
MACERATA – “Per amore del mio popolo non tacerò”. La frase del vescovo Oscar Romero scelta per ‘ispirare’ la Veglia di preghiera per i missionari martiri promossa il 22 marzo scorso dal gruppo Missio Giovani della diocesi di Macerata Tolentino Recanati Cingoli Treia offre più di uno spunto di riflessione. E rimanda ad un’altra figura della nostra attualità che, pure, ha pagato con il proprio martirio la fedeltà al Vangelo: don Peppe Diana, barbaramente assassinato dalla camorra venticinque anni fa (era il 19 marzo 1994) e destinato a rimanere un modello cristiano del nostro tempo. Da giornalista impegnata nel campo nella stampa cattolica – prima nel contesto dei media diocesani e ora a Roma, al servizio dell’ufficio stampa del Rinnovamento nello Spirito Santo e come collaboratrice del Sir, l’agenzia della Cei -, la mia testimonianza appare indegna: cosa può raccontare un semplice comunicatore al cospetto di questi giganti della fede che hanno dato la propria vita nel nome di Cristo? Così, provo a sintetizzare il senso della mia vocazione professionale, a spiegare che anche il coraggio di alzare la voce nel frastuono che questa società impone, confondendo spesso animi e idee, può rappresentare un esempio di evangelizzazione che, per mezzo delle parole, attraverso la Parola, può fare la differenza. Promuovendo un’opinione critica e costruttiva, non piegata alle mere logiche del potere o dei profitti, degli interessi più commerciali che editoriali. Non tacendo laddove occorre far luce, facendoci ponti di informazione seria, autorevole e credibile tra i fatti e il pubblico.
“La città è fatta di una massa di persone, di una folla anonima. I media hanno una capacità incredibile di prendere il volto di una persona, di una storia, e di buttarla su una tv, su un giornale. Spesso però questo avviene senza il rispetto di quella persona”. Lo dichiarò nel 2009 Benedetto XVI, a proposito della stampa. Così purtroppo è, perchè manca quello sforzo virtuoso e quell’anelito genuino di rivolgersi a chi legge o ascolta con la prima delle regole giornalistiche sottovalutate da codici e manuali d’uso: il rispetto. Viviamo in un’epoca di povertà affettiva, di miseria culturale, di sete spirituale. Soprattutto di quest’ultima. Sopraffatti dalle tragedie e dagli eventi sconcertanti che la cronaca ogni giorno ci propone tramite i media, stentiamo a credere che il mondo possa respirare, davvero, di buone notizie. Da cristiani, abbiamo dimenticato lo stupore che solo la Buona Novella può generare e, arresi, scoraggiati, bombardati di informazioni, in overflow di commenti e connessioni, ci accorgiamo dell’esistenza dei cosiddetti “influencer cattolici”, ossia di personaggi capaci di orientare via Rete il nostro pensiero con sguardo positivo. Ma non basta, perchè per zittire le tante fake news che inquinano la nostra quotidianità occorre una dose ancora più massiccia di perseveranza e di coerenza, di linguaggio veritiero, efficace che dalle penne sia capace di arrivare al cuore.
Papa Francesco, a pochi giorni dall’elezione al Soglio Pontificio, ebbe a dire, proprio ai giornalisti: “Tutti i lavori sono impegnativi, ma il vostro lo è ancora di più perchè richiede studio, sensibilità, esperienza”. E in ogni Giornata Mondiale che la Chiesa dedica alla delicata sfera delle Comunicazioni sociali, il Santo Padre non manca mai di farci giungere un messaggio di sprone. Specie in questo 2019 quando, richiamando San Paolo, esorta chiaramente: “Bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perchè siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). E quella stessa verità, spiega il Pontefice, “si rivela nella comunione”. Un impegno a cui, a qualsiasi livello, come operatori della comunicazione veniamo interpellati per diventare autentici missionari di professionalità intrisa di umiltà, di competenza basata, prima di tutto sull’umanità, di una chiarezza in grado di non perdersi tra le righe del sensazionalismo e degli stereotipi del falso buonismo.
Occasioni culturalmente interessanti, spazi sociali in cui fare dibattito, luoghi del sapere e del condividere: ogni contesto può essere utile per dirci cronisti del vero, mediatori tra la realtà e il pubblico che credono in una missione da compiere senza vergogna, né imbarazzo, ma in virtù di quei talenti che ci sono stati affidati e che vanno messi a frutto: questo, in fondo, insegna la parabola narrata dall’evangelista Matteo.
Per concludere, viene inoltre alla mente un esempio concreto, dopo il recente dramma del Boeing 737 Max schiantatosi in Etiopia. In Italia si contano migliaia di uomini e donne di buona volontà che spendono gratuitamente la propria opera a favore degli ultimi, eppure occorreva un fatto di tale portata i media accendessero i “riflettori” sull’aspetto costruttivo della vicenda e lettori e spettatori si accorgessero che il mondo del volontariato esiste, e nel silenzio dell’ordinarietà grida potente il proprio inesauribile valore. Con fatica, ma accade che, miracolosamente, a bucare il video non siano sempre e solo le tre famigerate “s” (sesso, sangue e soldi), ma le due “b” (bello e buono). Indro Montanelli soleva ripetere ai giovani desiderosi di intraprendere questo mestiere:
“L’unico consiglio che mi sento di dare è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s’ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio”.
Un monito del tutto attuale, perchè è la coscienza con cui svolgiamo questo lavoro l’inchiostro più indelebile capace di lasciare, veramente, un segno destinato a fare luce.
Francesca Cipolloni