Rientrati in Diocesi di Macerata e Osimo i giovani che hanno vissuto l’esperienza missionaria in Togo
MACERATA – “Ma chi avrà perseverato sarà salvato“. Con questa frase scritta nel cuore siamo partiti lunedì 7 agosto 2017 alla volta della terra africana. Ignari di quanto ci sarebbe accaduto, pieni di curiosità e di trepidazione, abbiamo preparato valige piene di oggetti familiari e di affetti, salutato amici e genitori e attraversando il cielo, in un giorno e mezzo di viaggio, abbiamo raggiunto Lomè. Perserverare è stata certo la parola chiave di questa esperienza. Senza la fiducia in un Dio che è sempre Padre provvidente, impossibile muovere anche solo un passo in questa terra bruciata dal sole, dalla storia, dalla fatica, dalla vita. Una terra “scura” non solo per la pelle di chi ti viene ogni giorno incontro, ma anche scura di sofferenza e povertà, eppure al tempo stesso talmente intrisa di colori di vita che quello che alla fine senti scorgare improvviso nel cuore è sempre un moto di gioia. In Africa sono tutti felici e sorridenti. Sarebbe davvero il regno dei balocchi, se fosse così. Poveri e felici. Anche questa forse è una percezione alquanto paradossale. Chi è povero, chi non ha di che vivere e mangiare, chi cammina scalzo non per scelta ma per mancanza, chi, piccola anima, al finestrino di una macchina ferma al semaforo ti tende una mano e chiede cibo mentre nell’aria resta solo la polvere di un impacciato silenzio, non credo sia felice. Anzi non lo è, e non è neppure giusto che lo sia. Eppure, anche di fronte alle immagini più strazianti di questa terra, pur sempre madre dei suoi figli, anche di fronte ad una donna che partorisce a terra una nuova piccola vita destinata alla polvere e alla fame, anche di fronte a tutto questo, tu osservatore attonito senti tutta la forza della vita che fuoriesce e grida la propria esistenza. Questa è la voce forte dell’Africa che in questi anni abbiamo incontrato. La voce di un popolo mite, che cammina senza fermarsi, che lotta, che spera. Poveri e felici. Non credo. Ma poveri e pieni di fede, questa è la profonda verità che quando la tocchi sulla pelle non ti lascia in pace e neanche più come prima.
Perseverare…è sillabando timidamente questa parola che ancora una volta siamo tornati a toccare questa terra, la terra dei frati minori della Provincia del Verbo Incarnato, una moltitudine silenziosa ma operante, che senza sosta dona la vita per i più poveri, e per un sogno grande di Dio: ” che la vostra gioia sia piena”. Con il gruppo dei giovani della Diocesi di Macerata e di Osimo abbiamo trascorso tre settimane tra Lome e Dapaong, proprio custoditi e accompagnati da questi angeli dall’abito grigio e dai sandali ai piedi. La prima settimana è trascorsa più leggera, il primo impatto, soprattutto per chi neofita è arrivato in Africa per la prima volta, è stato graduale, con tempi tranquilli, il servizio di due giorni alla pouponniere, la casa dei bambini orfani, e giri per la città incontrando bambini, con cui semplicemente giocare. Bello anche condividere la festa della comunità delle clarisse di Akepè, monastero incantato, poco distante dal centro della città, dove il 12 agosto abbiamo celebrato i voti perpetui di una suora. La festa in Africa è un’esplosione di gioia, di gente, di danze, di grida, di corpi sinuosi e eleganti che volteggiano verso il cielo.
Si sta bene in Africa, forse il cibo non è sempre digeribile, ma a Lomè il caldo che ti accoglie ti fa ancora stare tranquillo. A Dapaong invece l’Africa comincia a parlare la sua lingua più vera. Il 16 agosto, con il sole ancora nascosto, si caricano bagagli essenziali e, stipati nel pulmino francescano, si prende la via per il nord. Un’unica strada collega Lome a Dapaong, un’unica strada, per lo più sconnessa e infinita. Il viaggio può essere solo vissuto, le parole tradirebbero la verità più profonda degli spostamenti in questa terra. Dopo dodici interminabili ore, si apre di fronte a noi il cancello che nella penombra della sera ci accoglie nella casa del noviziato di Dapaong. Lo scenario del nord ha tutto un altro sapore e altre suggestioni. Siamo nella savana, stagione delle piogge, foresta verdeggiante e dagli orizzonti sterminati, baobab, alberi di tek, strade rosse di un’intensità che incanta. Aspettiamo nel cuore della notte africana. I novizi sono intenti a prepararci le stanze. C’è movimento frenetico nella casa, mentre stanchi attendiamo il futuro attaccati per sicurezza all’esile filo del wifi. Sarà una fugace illusione. Il nord ci attende per raccontarci il volto più vero dell’Africa scura, quella della miseria, della fatica, della fragilità, del coraggio, soprattutto di tante donne madri, madri nonostante tutto. A Dapaong restiamo fino al 24 agosto. Giorni lunghi, intensi, giorni di Africa che si scioglie dentro, ti scioglie dentro. A Dapaong non sei più turista, nè solo osservatorie di una realtà che ti passa accanto. Qui inizia l’esperienza più profonda, quella che ti fa toccare con mano ogni giorno che in questa terra tutto è più vero: “le banane sanno di banana, il verde è davvero verde”, la malattia e la morte sono compagne ogni giorno di vita. E i bambini, arrivano ogni pomeriggio nella scuola di Dapaong, a frotte, ogni giorno più numerosi, vivaci, curiosi, sono la radice di questa terra e sono lì ogni giorno ancora prima di noi, pronti a giocare, cantare, urlare che nonostante il diverso colore della pelle siamo tutti davvero fratelli. Non ci puoi fare niente, in questa terra puoi solo prendere per mano la tua vita e quella di chi ti è accanto, perchè solo restando insieme quello che accade ha senso, e il senso più vero è tutto nella condivisione. I giorni trascorsi a Dapaong ci hanno fatto incontrare storie straordinarie, di donne e di uomini che si spendono ogni istante per donare e restituire speranza di vita, proprio lì dove il tuo sguardo fragile si perde e si chiude nella tristezza: mamma Rita con i bambini malati di aids, la suora polacca dell’ospedale per bambini e madri di Najundi, Simeon e Raul custodi instancabili del college di Dapaong. Sono volti, gesti e sguardi che non dimenticheremo mai. Perchè sono il volto straordinario di quel Dio che qui senti davvero come Padre e a cui chiedi, implori, gridi aiuto, soprattutto se in una notte scura d’ospedale sei sola, accanto ad una vita febbricitante e bagnata di sudore che puoi solo affidare a chi di quella vita è il vero autore.
L’Africa ti scioglie dentro e ti regala la verità più straordinaria che si possa intuire: la vita è proprio benedetta, la vita povera, fragile, piccola, la vita comunque sia, è perfetta, ed è un dono immenso da custodire sempre. Abbiamo lasciato il Togo, nella Notte della creazione, la festa che ogni anno i frati minori vivono nella parrocchia di Anoukope, salutando tutti con una canzone che sa di futuro: “Domani, domani lo so che si passa il confine e davvero la vita sembra fatta per te!”.
Che questo domani abbia già il sapore di oggi, un oggi benedetto, un oggi in cui fare memoria delle meraviglie viste, un oggi in cui sentirsi grati, un oggi in cui scegliere con coraggio, semplicemente la vita. Un oggi sempre di Dio.
Annamaria Cacciamani
Tutto in Africa è grande e forte
MACERATA – L’Africa è per me un “paradosso gioioso” che rimette i miei piedi occidentali comodi nella terra concreta e dura. Un paradosso tra forza e fragilità, tra voglia di vivere e disprezzo della vita, tra paesaggi mozzafiato e discariche puzzolenti fumanti, tra liturgie gioiose ma interminabili.
Tutto in Africa è grande e forte, a partire dalle formiche che sono 4 volte più grandi delle nostre, fino alle donne che portano quei pesi enormi sopra le teste e per di più un bambino appena nato legato dietro la schiena!
Appena atterri con l’aereo in questo continente, subito senti che le forze ti scappano via e senti che il clima ti appesantisce. Subito fai esperienza della tua fragilità! Tu occidentale e benestante che arrivavi con l’idea di voler salvare la povertà africana fai l’esperienza di essere piccolo, debole e fragile! Sai che devi star attento a ciò che mangi e bevi per non star male di stomaco, a ciò che ti pizzica per non prendere la malaria, a riposarti per non svenire, a dove metti i piedi per non pestare chissà quale animale velenoso.
Quando vai per strada con la macchina ti viene da chiudere gli occhi per la paura, vedi cose improponibili per i nostri occhi occidentali, come moto caricate come macchine, oppure muli caricati come elefanti, oppure macchine come camion; ricordo nel lungo viaggio da Lomè a Dapaong quella corriera talmente carica, con tanti bagagli sopra il tettino, che ad ogni buca si doveva quasi fermare per non capovolgersi! Tutto questo è paradossale perché ti fa pensare che in questo ci sia un grande sprezzo per la vita dato il grande rischio!
Inizi a giudicare, inizi a dire che non è possibile vivere in un tale caos, in città con fognature a cielo aperto puzzolenti, dove ad ogni angolo vedi qualcuno che fa la pipi da incivile. Inizi a dire che è un popolo incapace di organizzarsi e valorizzare le bellezze naturali che hanno, per fare una città più vivibile! Inizi a pensare come quei tanti imprenditori occidentali, che sono andati giù a salvare l’Africa portando i cellulari dove non c’è la corrente, oppure grattacieli tra le baracche, oppure le macchine e i camion fumanti di 50 anni fa, che da noi non possono più circolare nelle nostre città ecologiche!
Ma per fortuna questa è la prima tentazione che viene, che ci rimani solo se, non ti apri al fratello e vivi l’Africa da europeo in vacanza! Noi abbiamo avuto la fortuna di fare molte esperienze a contatto con la gente del posto, a partire dai frati francescani che ci hanno insegnato cosa significhi l’accoglienza del fratello, che è il primo valore per l’uomo africano! Cosa che noi europei a volte ci siamo dimenticati!
Alzandoci alla mattina alle 6 per la messa con i frati, cosa per noi improponibile in Italia, vedi la Chiesa piena tutti i giorni anche di giovani e che la giornata del cristiano parte con “l’andate in pace” del frate, che si concretizza con la giornata di duro lavoro per guadagnarsi da vivere!
Nelle tre settimane in cui siamo rimasti, diverse esperienze di servizio ci hanno aiutato ad aprire gli occhi: come i sorrisi e i pianti dei bimbi all’orfanotrofio; o nella fatica condivisa per quattro ore nei campi con le famiglie a lavorare; o nei volti delle donne del centro dove fanno nascere i bambini 6 tribù; o con gli abbracci e strette di mano dei bambini ammalati di Aids; o nella gioia del “grest” che abbiamo organizzato per i bambini di Dapaong nei pomeriggi dopo il loro lavoro mattutino nei campi; o dai canti e balli festosi dei carcerati della prigione di Dapaong quando siamo andati a trovarli.
Stando a contatto con i fratelli, provando a condividere la vita, tutti i pregiudizi cadono e pensi che il popolo africano è un popolo coraggioso, accogliente, forte come il paesaggio che lo ha plasmato! L’unico paradosso che rimane è la nostra fede! Ti rendi conto che cresce e si fortifica quando sei fragile e non ti rimane altro che affidarti a Dio! L’esperienza arricchente è stata il fare amicizia e condividere la gioia con una Chiesa giovane e piena di vitalità nata un centinaio di anni fa e la nostra Chiesa millenaria che oramai sente le fatiche del nostro troppo pensare. Concludo con la frase più volte ripetuta da Papa Francesco ai giovani, perché penso che riassuma anche la “cancrena” che ha la nostra Chiesa europea troppo statica nelle “tradizioni” del si è sempre fatto così:
“Rischia! Rischia. Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?” Benedetto il Signore! Sbaglierai di più se rimani fermo”.
Antonio