Si scrive “missione”, si legge “prendersi cura”. È questo un termine che ci tocca da vicino. Perché sa di padre e di madre. Di premuroso e di strutturante, allo stesso momento. Un verbo che si rivela oggi indispensabile, da coniugare in tutti i modi, in tutti i tempi. Sì, un’arte rara. Un volto originale della missione, riscoperto da poco. Anche se Don Milani per i suoi ragazzi di Barbiana ne aveva fatto uno slogan di successo: «I care». Rispolverato da Papa Francesco, diventa il tema per un anno con il suo patrono, il migliore testimonial, Giuseppe. Colui che si prese cura fino al suo ultimo istante di Maria e del Bambino di Nazareth. Originale missione! Nella lettera apostolica «Patris corde» con l’indizione di un anno speciale in onore di questo «uomo giusto», troviamo delle perle: sono incastonate in un’esistenza silenziosa, efficace e coraggiosa. Tratti salienti del profilo di san Giuseppe. Da sempre un padre amato dal popolo cristiano. In lui Gesù ha potuto contemplare la tenerezza stessa del Padre. Con questa attitudine – la tenerezza – siamo anche noi invitati a prendere in mano la nostra fragilità, le nostre debolezze. Prendersi cura di sè. Uomo di obbedienza pronta, disponibile al minimo cenno di Dio, che si rivela in ben quattro sogni, egli non parla. Non risponde, ma agisce. «Le style c’est l’homme» (lo stile fa l’uomo) suggerisce una celebre massima. «In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo ‘fiat’, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani» precisa papa Francesco. Uomo dal lavoro fattivo e intraprendente, Giuseppe ricorda la dignità che il lavoro stesso riveste per un essere umano, in tempi in cui ambedue, lavoro e dignità, si incrinano pericolosamente. Uomo discreto, che sa accogliere la realtà e tutti i suoi imprevisti ad occhi aperti, con fiducia e responsabilità. E la realtà – abbiamo imparato – è superiore ad ogni idea. Un padre che si spende nel far crescere con un amore che non coltiva il possesso, ma la libertà. Giuseppe resta esempio luminoso del prendersi cura degli altri, delle cose e di sé. In silenzio. Perché «ogni parola autentica nasce dal silenzio e dal silenzio è custodita» ricorda qualcuno. In varie occasioni, è l’immagine di «una Chiesa in uscita» per le tante frontiere affrontate: al di là della propria terra, della propria gente, delle proprie abitudini. E per scelte originali di vita.
Anche per noi sarà un anno in cui siamo invitati ad entrare in questa “missione” : prendersi cura. Sì, delle tante fragilità che incontriamo ogni giorno: dai nuovi poveri, all’anziano, al malato, al migrante, allo straniero. Ma «lo straniero è un fratello, che non hai mai incontrato» ricorda un proverbio africano. Prendersi cura di loro, perché non restino prigionieri della «logica dello scarto». «Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono, che per quello che fanno o non fanno», raccomandava D. Bonhoeffer, precisando che «l’unico rapporto fruttuoso con gli esseri umani – specie con i deboli – è l’amore».
Prendersi cura, in fondo, sarà fiorire là, dove si è piantati, in una vita di famiglia, di comunità o di coppia. Fiorire, ma anche lottare: l’uno non va mai senza l’altro. Lottare, così, contro le ingiustizie quotidiane, le esclusioni, l’indifferenza, le dimenticanze dell’altro e della sua dignità.
Infine, il pensiero corre al nuovo contesto – alla Chiesa nell’Islam, – dove si trova attualmente mons. Giovanni d’Ercole. Come delle oasi di accoglienza, le piccole comunità cristiane in terra d’Islam, in Marocco, rivelano dei veri discepoli del Signore sulla terra del Profeta. Sono coscienti della loro fragilità, la loro minoranza. Ma anche testimoni della forza del dialogo, della preghiera e dello spirito di servizio per gli altri. Sanno che l’unico vangelo che i musulmani possono leggere è la loro stessa vita. In fondo, è proprio il loro infaticabile prendersi cura. Sì, di donne, di bambini, di poveri, di migranti subsahariani, senza risparmio. Senza misura. Straordinaria “missione”! Aiutano, così, un popolo differente a crescere in umanità e nella sua differenza. Ed è lo stesso coraggio, la stessa fiducia e disponibilità di un santo falegname di Nazareth. Il suo nome era Giuseppe.