(Da Avvenire, 13 gennaio 2021)
Secondo la World Watch List 2021: 309 milioni di fedeli cristiani subiscono persecuzioni estreme. Sono aumentati fino a 4.761 i fedeli uccisi negli ultimi 12 mesi per la loro fede in Cristo. Un cristiano su otto nel mondo viene discriminato. Oltre 340 milioni di cristiani, a ogni latitudine, sono oggetto di persecuzione a causa della propria fede. Considerando solo i 50 primi Paesi della World Watch List 2021, pubblicata da Porte Aperte, 309 milioni fedeli cristiani subiscono persecuzioni estreme. Inoltre, sono aumentati fino a 4.761 i fedeli uccisi negli ultimi 12 mesi per la loro fede (i dati si riferiscono all’arco di tempo tra ottobre 2019 e ottobre 2020, ndr). I cristiani uccisi per ragioni legate alla fede crescono del 60%, con la Nigeria ancora terra di massacri, assieme ad altre nazioni dell’Africa Sub-Sahariana colpite dalla violenza anticristiana: tra i primi 10 Paesi con più uccisioni di cristiani si trovano 8 nazioni africane.
Che cos’è la World Watch List?
Ogni anno Porte Aperte Onlus/Open Doors International pubblica la World Watch List, la lista dei primi 50 paesi dove più si perseguitano i cristiani al mondo. La World Watch List elenca 50 paesi secondo l’intensità della persecuzione che i cristiani affrontano per il fatto di confessare e praticare attivamente la loro fede. E’ compilata da analisti di Porte Aperte specialisti della persecuzione, ricercatori ed esperti sul campo e indipendenti all’interno dei vari paesi. I livelli assegnati sono basati su vari aspetti della libertà religiosa, identificando principalmente il grado di libertà dei cristiani nel vivere apertamente la loro fede in 5 aree della vita quotidiana: nel privato, in famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella chiesa che frequentano e nella vita pubblica del Paese in cui vivono, a cui si aggiunge una sesta area che serve a misurare il grado di violenze che subiscono.
Dal 2002 a oggi in testa alla terribile graduatoria vi è ancora la Corea del Nord: il cambio nello stile di comunicazione di Kim Jong-Un non ha significato nulla per i cristiani del Paese. Le retate della polizia sono proseguite con l’obiettivo di identificare e sradicare qualsiasi cittadino con pensieri “devianti”, tra cui i cristiani: si stimano tra i 50 e i 70mila cristiani detenuti nei campi di lavoro per motivi legati alla fede.
Seguono Afghanistan (2°) con quasi lo stesso punteggio della Corea del Nord, Somalia (3°) e Libia (4°), ognuna delle quali totalizza un punteggio superiore a 90. Qui le fonti di persecuzione sono connesse a una società islamica tribale radicalizzata, all’estremismo e all’instabilità endemica di questi Paesi: la fede cristiana va vissuta nel segreto e se scoperti (specie se ex-musulmani), si rischia anche la morte. Poi vi è il Pakistan, stabile al 5° posto, dove la persecuzione si manifesta in violenza anticristiana, ma anche in discriminazioni nelle varie aree della vita quotidiana (anche per effetto della legge anti-blasfemia).
Come sono cambiate le
persecuzioni religiose al tempo del Covid
La pandemia ha evidenziato ed esacerbato le vulnerabilità sociali, economiche
ed etniche di milioni di cristiani nel mondo. È apparso evidente che essa sia
diventata un catalizzatore di atteggiamenti oppressivi e repressivi, spesso
nascosti, che si tramutano in atti o espressioni discriminatorie come i
discorsi d’odio postati sulle piattaforme online. In India, più di
100mila cristiani hanno ricevuto aiuto dai partner di Porte Aperte/Open Doors.
L’80% di essi ha dichiarato ai ricercatori della WWList di aver visto loro
negato l’accesso ai centri di distribuzione aiuti. Alcuni di questi cristiani
hanno dovuto camminare per diversi chilometri e tenere nascosta la propria identità
cristiana per poter ottenere cibo da qualche altra parte. Il 15% ha dichiarato
di aver ricevuto cibo, ma di aver subito discriminazioni, quali la mancanza di
lavoro giornaliero fornito dal governo, dai proprietari terrieri o dalle
fabbriche. Episodi simili non si sono verificati solo in India, ma anche in
altre nazioni come: Myanmar, Nepal, Vietnam, Bangladesh, Pakistan, paesi
dell’Asia Centrale, Malesia, Nord Africa, Yemen e Sudan. I cristiani delle
aree rurali sono stati esclusi dagli aiuti. L’esclusione a volte è avvenuta a
opera degli ufficiali governativi, altre a causa delle autorità locali (come i
capi villaggi).
Nel Sud di Kaduna, in Nigeria, le famiglie cristiane di diversi villaggi
hanno detto di aver ricevuto un sesto della razione ricevuta dalle famiglie
musulmane.
Coloro che abbandonano la religione maggioritaria per il cristianesimo sanno che rischiano di perdere tutto il supporto che potrebbe venire loro dai coniugi, dalle famiglie, dalla tribù, dalle comunità e persino dalle autorità locali o nazionali. Se perdessero la propria fonte di reddito per via del Covid-19, saprebbero di non poter fare affidamento sulle consuete reti sociali per sopravvivere.
Allo stesso modo, il Covid-19 ha impattato la vita dei responsabili delle chiese. Molti di loro non sono regolarmente stipendiati, ma ricevono sostegno finanziario mediante le offerte delle chiese. Quando le chiese hanno interrotto le loro attività, le donazioni ne hanno risentito diminuendo di circa il 40%. Diminuzione che ha avuto ripercussioni anche sull’assistenza umanitaria alle proprie comunità, sia dentro sia fuori dalle chiese.
Per via del confinamento, molti convertiti alla fede cristiana hanno vissuto chiusi in casa con coloro che maggiormente osteggiavano la loro nuova fede. E questa vulnerabilità domestica che si è accentuata ha finito per colpire specificamente le donne e i bambini appartenenti alle minoranze. Da segnalare infine, che negli ultimi 12 mesi – presi in considerazione dalla relazione stesa da Porte aperte Italia onlus – è stata registrata la diminuzione del numero di chiusure, attacchi e distruzioni di chiese, ma anche ospedali e scuole a esse collegate: in tutto 4.488 casi (contro 9.488 dell’anno precedente), di cui oltre 3.088 nella sola Cina. Il Paese asiatico nella WWList 2021 è salito di alcune posizioni: dal 23° al 17° posto, attuando tra le altre cose una sempre più stringente sorveglianza (anche tecnologica) sulle attività cristiane e un numero di arresti difficilmente rintracciabile. Dal 2018 vige un decreto che vieta la partecipazione, a qualsiasi attività religiosa, per i minori di 18 anni. La “sinicizzazione” del cristianesimo è stata estesa a febbraio 2020 con nuove norme regolanti l’organizzazione dei culti, la selezione dei responsabili ecclesiali, l’assunzione del personale, fino alla reinterpretazione della Bibbia secondo i valori fondamentali del socialismo.