Dopo una prima riflessione sulla Pasqua, i membri della Commissione Missionaria Regionale rispondono alla seconda domanda posta dai ragazzi della Redazione:

Come possiamo interpretare e vivere questo momento epocale della nostra esistenza nell’ottica missionaria ad gentes e della fede?

UN VIAGGIO INATTESO

“Il tempo che ci sta davanti ci invita realmente alla missionarietà”. Paradossalmente ci invita ad uscire: “a vedere al di là di quello che vediamo, ad andare al di là di ciò che siamo, a uscire da noi stessi, dalle nostre abitudini, dalla routine. Questa ci aveva abituato ad una vita soffocata, tesa, piena di cose, di pensieri e di impegni. Terra di missione, ora, per noi è questo attraversamento di deserto. Impensabile e sofferto. È questa fame di eucarestia, che ci accomuna con migliaia di cristiani nel mondo in missione. È questa sete, questo lungo digiuno di contatto, di abbracci, di presenza l’uno all’altro. Ma è anche purificazione: è rientrare in noi, nella nostra famiglia, nella nostra «Chiesa domestica». Come un viaggio in noi e tra noi. «Viaggiare non è scoprire nuove terre, ma avere nuovi occhi» (Proust). Dove ora c’è il tempo, come nostro amico di viaggio. Il tempo di scambiare, di riflettere, di supportare l’altro, di pregare insieme. Di essere creativi, inventivi. Di ritrovare la meraviglia, lo stupore di fronte alla vita. E in questa nebbia scesa sul nostro paesaggio quotidiano, imparare a navigare a vista, a crescere nella fiducia, quella vera. Ad abbandonarsi alla Provvidenza. Ad imparare a fermarsi.”

UNA FRATERNITA’

In maniera forse inaspettata per alcuni, ma di certo non per i missionari, questo tempo può essere vissuto come una spinta ancora maggiore ad aprirsi al nostro prossimo, ai nostri fratelli. “È un tempo che deve servirci per esaminare noi stessi; guardare il più possibile il nostro impegno verso l’altro.” Nonostante sia un periodo “estremamente doloroso, sul piano della fede ci offre la preziosa occasione di cercare la presenza del Padre e desiderarne l’aiuto non solo per noi, ma anche per i tanti uomini che vivono il nostro stesso dramma. Offrire una parola di conforto e di speranza ci rende piccoli missionari. Ci scopriamo così fratelli, prigionieri nella stessa barca, in balia di una stessa tempesta, accomunati dalla certezza di non essere soli.”

Se da un lato questa tempesta “ha messo in moto trasversalmente, in uno scambio proficuo, popoli e nazioni, leaders di varie Religioni, la comunità scientifica, la concreta solidarietà, lo stop a tante guerre e quanto di positivo è in atto”, dall’altro ci sono alcuni campanelli d’allarme che non vanno trascurati, per evitare che la chiusura di questa quarantena diventi anche una “chiusura dei nostri cuori”. “La ricerca del colpevole nell’altro, nello straniero, nel diverso”: episodi di odio che evidenziano ignoranza e irrazionalità oltreché lontananza da ogni principio cristiano, etico e religioso.

Quest’emergenza ha evidenziato “le disparità di trattamento e le discriminazioni esistenti nella nostra società, i problemi di un sistema che continua a produrre ‘scarti umani’ ed esclusione sociale. Il rispetto della regola e slogan #iorestoacasa è sacrosanto, ma come facciamo con i senza tetto? E con tutte quelle persone che vivono in pessime condizioni abitative?” Che “il Vangelo diventati per noi un faro, per generare energie nuove, di un vero umanesimo”.

UNA CRESCITA

L’origine della parola “crisi” non ha accezione negativa, ma indica una fase di crescita: “Quando ci viene tolto tutto, capiamo cosa/chi regge davvero la nostra vita.” Cercare di capirlo “partendo da noi stessi, vuol dire fare della filosofia”. Cercare di capirlo “alla luce della presenza di Cristo e del suo Vangelo vuol dire costruire sulla roccia”: edificare una “Missio ad gentes in cui portiamo ai fratelli la presenza di Gesù che ci abita e che si manifesta nel nostro modo di vivere e di tessere relazioni.”

“Non possiamo perdere questa occasione tanto dolorosa di isolamento, in cui sentiamo la mancanza anche degli affetti più cari, per ricostruire un nuovo modo di essere Chiesa.” Una Chiesa che annuncia il Vangelo “sostenuta da testimoni che hanno fatto la scelta dell’essere per l’altro.” “Il Vangelo ha la forza di farci comprendere che non ci si salva da soli: la Parola di Dio e la Storia della Salvezza appartengono a un popolo di salvati.”

UN RITORNO ALLE RADICI

Questo momento può essere sfruttato per “tornare alle nostre radici di fede”, “ridimensionarci” e “desiderare umilmente la vicinanza di Dio”. “Seppure in modo forzato stiamo recuperando alcuni aspetti importanti della nostra vita: quello del tempo come dono, quello della famiglia, quello della cattolicità in quanto tutti parte di un’unica e medesima umanità. La fede, messa a dura prova per i distacchi, per l’assordante silenzio di Dio di fronte alla sofferenza del suo popolo, per le morti precoci di tante persone, ci riporta all’essenza della vita, una vita che è dono e che vede il suo compimento nel regno di Dio, iniziato qui sulla terra ma che ha il suo compimento nell’eternità, nell’abbraccio con il Padre.”