« Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti, emigra l’uomo, ora in forma collettiva, ora in forma isolata, ma sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini… »
Con queste parole di Giovanni Battista Scalabrini iniziava il collegamento streaming a Loreto, in preparazione della « Passione del Giusto ». Evento questo, che, sotto l’esperta regia di Mario, da 40 anni si tiene tradizionalmente nella settimana santa, con la partecipazione di alcune migliaia di persone. In questo tempo di pandemia non ha avuto luogo. Si tratta del dramma del Cristo, rivivendo però « le passioni » dell’umanità di oggi. Le vie crucis, il calvario e le morti innocenti dei nostri giorni. Quest’anno il tema era l’emigrazione, con la presentazione, via web, di un best-seller della EMI: « Dio attende alla frontiera ».
Nella mente degli ascoltatori sono rimaste alcune idee semplici. Fissate come chiodi, fondamentali. Emigrare è cambiare mondo. È provare a camminare nei sandali degli altri, come sempre duro e complicato… È vivere alla frontiera. Anzi, alle frontiere, al plurale. Delle nostre abitudini, delle tradizioni, mentalità, della nostra stessa lingua, di noi stessi…
Ma, la frontiera è « luogo teologico » che relativizza le costruzioni dell’essere umano, l’assoluto delle sue conquiste, la centralità dei suoi mondi. Così la sua ambizione, il suo segreto senso di onnipotenza. La frontiera è luogo per eccellenza dell’incontro e del confronto, dell’identità e dell’alterità che si danno appuntamento. Luogo del sapersi fare uomo con l’apporto dell’altro, del senso dell’incontro di un altro mondo, un altro cammino che si incrocia. In fondo, occasione di risvegliare la nostra indifferenza, chiusura o abitudini cristallizzate. Per « sprigionare », – sì, far uscire di prigione, – le nostre energie migliori, il valore della condivisione, dell’apertura. Costruire insieme all’altro un mondo più aperto e umano. Difficile sfida missionaria, sempre.
Emigrare è una ricerca, spesso dura, estenuante e caparbia, di due realtà vitali per un essere umano: il pane e la dignità. Sì, perché la terra da cui si proviene è indegna di farci vivere. E oggi sono migliaia i nostri giovani che partono all’estero, gridando in fondo all’anima proprio questo. Scremano la nostra terra delle sue promesse. Delle sue forze migliori.
Emigrare è una lotta, dura e amara. Dove ogni giorno è una sorpresa, ogni passo un’umiliazione, perché si è in casa d’altri. E tutto ve lo ricorderà, senza pietà… Ma è anche allo stesso tempo una danza. Lotta e danza, allo stesso tempo. Perché apre la mente e il cuore ad altri mondi, ad altri orizzonti, cambia il nostro ritmo. E tutto può trasformare e arricchire un essere umano. Che diventa, per miracolo, un essere di sintesi. Mettere insieme, così, le radici che ci hanno fatto crescere, e le antenne che ci fanno vivere e respirare. Ed è sempre un’arte rara. Con il tempo, ma molto tempo e pazienza, (lo sapevate?!) il migrante scoprirà di avere un cuore doppio del normale. Perché imparerà ad amare – sì, con lo stesso amore – la terra di origine e insieme la terra di accoglienza. Come quando si sentono degli emigrati siciliani o calabresi, che d’estate vengono a visitare la loro terra di origine : « Beh, sono passati come un soffio questi quindici giorni !… è ormai ora di tornare a casa ! » Cioè, all’estero. Dove hanno ricostruito la loro vita sulla terra degli altri. Ormai diventata la loro.
Iniziato con l’immagine dei semi, infine, l’incontro streaming termina con «la ballata del migrante». Con un pathos tutto suo è recitata da Rita, per raggiungere il cuore dei numerosi ascoltatori via web…
« Come un seme sono uscita dalla terra. Come un seme sono nata nella mia terra di povertà e di miseria. Vengo dal profondo Sud, dalla Moldavia, dalla Tunisia, dalle Filippine… e da tante altre terre. Sì, la mia terra è rimasta incollata all’anima della mia vita. Ma come un seme tenevo stretta tra le braccia tutta la speranza del mondo, ogni attesa dell’universo. Allora, come un vero seme il vento mi ha scossa, mi ha percossa, mi ha dispersa altrove. E ho attraversato il mare e l’oceano. Ho conosciuto l’esilio e la paura, il coraggio, il sogno e l’amicizia, la danza e la lotta vera. Ho conosciuto la speranza e le illusioni, il pianto e la preghiera. Come un seme il cuore mi è scoppiato. Sì, la mia vita è sempre impastata di morte e di rinascita, di fame e sete di dignità, di paura di vergogna e di nostalgia, di solidarietà nuove e di speranze mai finite…
E quante volte ho dovuto morire: io non sono che un seme nella mia vita di migrante, destinato a nascere e a scomparire sempre… Ma verrà un giorno, sarò un albero, finalmente, nella terra degli altri e farò frutti e meraviglie, che mai nessuno avrà visto uguali! »
Renato Zilio