Il CMD di Fano si prepara a celebrare la Giornata Missionaria Mondiale

Con l’arrivo di ottobre entriamo nel mese missionario, e si attende con fervore la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, domenica 18 ottobre. Il tema scelto dalle Pontificie Opere Missionarie in Italia per questo Ottobre Missionario è “Eccomi, manda me. Tessitori di fraternità” …come racchiudere in 3 semplici parole una vocazione profonda e importante, che riguarda tutti noi cristiani. Fraternità, un richiamo immediato ad essere testimoni dell’amore di Dio e a farci prossimi dei nostri fratelli, riversare su loro questo amore. Tessitori, l’immagine di un lavoro al telaio ci fa pensare ai mille fili di trama ed ordito che si intrecciano per presentare ai nostri occhi la meraviglia di un disegno sognato, progettato e realizzato! Proprio così dovrebbero essere le nostre vite: i nostri piccoli (microscopici se guardati su scala mondiale) incontri e gesti quotidiani, possono diventare le trame del sublime telaio del progetto di Dio.

Che cos’è questo ottobre missionario? Cosa vuol dire? Come si celebra la Giornata Missionario Mondiale? Quando? Dove? Perché? Queste e molte altre saranno le domande che sorgono spontanee tra la comunità di fedeli, e i giovani del Centro Missionario Diocesano di Fano rispondono in maniera semplice, ma estremamente diretta e coinvolgente! Spinti da tanto entusiasmo e voglia di fare non possiamo mancare all’appuntamento di domenica 18 ottobre!

"Tessitori di Fraternità" – Ecco l'ottobre missionario 2020!

Che cos'è questo ottobre missionario? Cosa vuol dire? Come si celebra la Giornata Missionario Mondiale? Quando? Dove? Perché? 🤔🤔🤔I giovani del CMD rispondono a queste domande e vi danno appuntamento per domenica 18 ottobre! 😊 Ti aspettiamo! 👋#missioitalia #cmdfano #fanodiocesi #ottobremissionario #GMM2020

Pubblicato da Centro Missionario Diocesano – Fano su Sabato 10 ottobre 2020

Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato

Si è celebrata ieri in tutta la diocesi di Macerata la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, con circa 60 Parrocchie coinvolte nell’iniziativa. Le storie di tanti migranti hanno emozionato e sensibilizzato le nostre comunità, come la testimonianza di Manuel, dalla Nigeria, che ha raccontato la sua esperienza di vita nella diocesi di Santa Croce a Macerata.

La speranza è che questi racconti possano dipingere con chiare e vive pennellate il dramma degli sfollati interni nei nostri cuori e sensibilizzare i nostri animi. Un dramma crudele, ma spesso invisibile, ancor di più in questo 2020 a causa della crisi mondiale dovuta alla pandemia da COVID-19. Ma «non è questo il tempo della dimenticanza. La crisi che stiamo affrontando non ci faccia dimenticare tante altre emergenze che portano con sé i patimenti di molte persone. […] Non è questo il tempo degli egoismi, perché la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e non fa differenza di persone.» (Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020). Così ci sollecita Papa Francesco, affinché ci impegniamo per garantire la cooperazione internazionale, la solidarietà globale e l’impegno locale, senza lasciare fuori nessuno. Un messaggio più attuale che mai in questo periodo in cui si trovano non solo sfollati interni, ma anche molte altre persone si trovano a vivere esperienze di precarietà, di abbandono, di emarginazione e di rifiuto a causa del COVID-19.

Il Santo Padre ci ricorda come il rifugiato ci offra una preziosa opportunità di incontro con il Signore, anche se i nostri occhi fanno fatica a riconoscerlo. Nella fuga in Egitto anche il piccolo Gesù sperimenta, assieme ai suoi genitori, la tragica condizione di sfollato e profugo segnata da paura, incertezza, disagi. Si tratta di una sfida pastorale alla quale siamo chiamati a rispondere con i quattro verbi che Papa Francesco ci ha indicato nel Messaggio per questa stessa Giornata nel 2018: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

Famiglia e Missione

Fano, Ufficio diocesano pastorale famigliare e Centro Missionario Diocesano impegnati insieme per affrontare un tema di importanza centrale per la Chiesa e la sua missione: Famiglia e Missione. Questo il titolo dell’incontro che si è tenuto lo scorso 20 agosto e che ha visto partecipi anche il vescovo Armando e il vicario generale don Marco Presciutti. Un incontro ricco di testimonianze per ricordare l’importanza dell’impegno missionario delle famiglie, impegno basato su ascolto, accoglienza e amore.

Il dialogo sul tema è stato affrontato con i contributi e i pensieri di padre Diego Pelizzari, missionario saveriano in Brasile, di Alessandro e Alessandra Andreoli, direttori del Centro Missionario di Ancona, per poi proseguire grazie alla condivisione di Anita Manti, presidente di Africa chiama ONLUS, e di Francesco Caverni, dell’equipe missionaria diocesana, insieme al direttore del Centro Missionario Diocesano, Marco Gasparini.

Ulteriori approfondimenti sono disponibili al seguente link: https://www.ildiso.it/2020/08/famiglia-e-missione/

Dolomiti ed emigrazione

La delegazione di Migrantes Marche – cinque componenti affiatati, motivati e sorpresi, – era, finalmente, arrivata in Val Pusteria. 1200 metri di altitudine, sfondo dolomitico mozzafiato, verde esplosivo di boschi di conifere e di prati falciati di fresco. La canicola d’Italia restava fortunatamente, ormai, alle spalle.  Eccoci, ospiti attesi di un hotel solitario, immerso nei boschi, eretto nel lontano 1511, accanto a una fonte termale, e adattato nel 1952 dai missionari scalabriniani per vacanza alpina dei loro studenti. Reso ora accogliente e funzionale – per soli tre mesi all’anno, causa inaccessibilità per neve – da una ventina di giovani volontari filippini della parrocchia milanese degli scalabriniani e un padre Claudio tuttofare, responsabile della struttura. Si è a Villabassa (BZ) a pochi passi da Dobbiaco e dal confine con l’Austria.

Gli scalabriniani hanno il carisma di prendersi a cuore i migranti nei loro problemi e speranze, accompagnando la loro fede e cultura. E qui le Dolomiti, tra l’Otto e il Novecento hanno mangiato il pane duro dell’emigrazione… Non manca, accanto, una nota di emozione e di poesia. A poca distanza, sperduta nel verde, la capanna di Gustav Mahler, che, nelle ultime estati, tra il 1908 e1910 trova l’ispirazione per capolavori come « Il canto della terra », la nona e la decima Sinfonia. Come a dire che questo luogo ha ancora tanto da raccontare…

Il viaggio per arrivarci, lunghissimo, ha permesso uno scambio altrettanto lungo sull’Italia di oggi… Una lettura che – in filigrana – ce la fa apparire come una terra « signoriale », sottilmente feudale, pur senza accorgesene. Dove ogni voglia di cambiamento è mortificata da un’ingessatura preventiva. « Si è sempre fatto così ! ” Si è come ingessati… Un piccolo mondo antico. Si agisce in base a tradizioni e abitudini, senza uno sguardo lungo verso il futuro. Antichi privilegi, senso forte della proprio gruppo, corporazioni, familismo, contrapposizioni estenuanti e localismo senza grandi orizzonti e respiro. Per cui la mobilità, l’emigrazione e le sue dinamiche fanno paura. Il tempo, così, sopraffatto dallo spazio. Lo si intravede e lo si ritrova, discutendo, in vari contesti : nel mondo universitario, sanitario, politico, educativo, forse anche ecclesiale… Tre gli elementi ricorrenti : un signore feudale, un territorio circoscritto (feudo) e un rapporto verticale (direttivo), calato dall’alto. Non è senz’altro il mondo inglese, la cui forma mentis è la ship (barca), – si ragiona insieme – terminazione questa tipica di innumerevoli vocaboli, come partnership, leadership…  E ciò indica un team affiatato, un dinamismo intrinseco, un’avventura comune, una complementarietà inedita, un approdo in fondo all’orizzonte. Così, con questi discorsi ancora nell’aria, incontriamo sorpresi il volto di un grande uomo di mare e noto scrittore, Ernest Hemingway. È all’Hotel de la Poste, il più antico di Cortina. « Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso » – pare ripeterci, con innumerevoli sue foto tra nevi e ghiacciai. « Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra ! » Ne ammiriamo la stanza d’albergo, il « suo » posto abituale nell’antica sala bar, posto rimasto immortale, proprio sotto l’orologio a pendolo, dove annotava i capitoli di « Per chi suona la campana ». E, così, pare ricordarci : « Ora non è tempo di pensare a ciò che non hai. Pensa quello che puoi fare con quello che c’è ! » E a noi, ci sembra stranamente di cogliere… uno stile Migrantes!

La visita a San Candido (Innichen in tedesco) resta memorabile. Uno del gruppo, nella piazza principale, estrae la fisarmonica (strumento squisitamente marchigiano), cala sugli occhi un basco à la française, e inizia un chansonnier parigino… Gli applausi non si fanno attendere, come pure i bambini portati dai nonni in carrozzina che battono mani e piedi al ritmo della musica… mentre un altro della Migrantes ti cita ad alta voce il Leopardi : «  i bambini trovano il tutto nel nulla, i grandi trovano il nulla nel tutto ! »

Brunico, invece, la ‘capitale’ della Val Pusteria, offre la bellezza del Tirolo e la stessa bella accoglienza al nostro ‘artista di strada’.  « A condizione di suonare una tarantella calabrese’ » ci fa il gestore del bar in piazza grande. Tradendo, così, la propria origine… ma anche l’interessante capacità di essersi così bene integrato e pur nella sua diversità aver raggiunto una feconda differenza. Ci viene in mente la parabola della ship e del feudo… di chi sa ben navigare, al posto di rimanere inchiodato al suo territorio e alle sue certezze. Anche le piazze di Lienz, prima città austriaca oltre il confine, ci vedono nello stesso scenario musicale, nella stessa incursione sorprendente, nella stessa silenziosa pace interrotta. Ma lo strumeno marchigiano ne esce sempre da protagonista più che ammirato. Anzi, invidiato.

Alla sera, la testimonianza  stimolante di p. René Manenti, parroco della parrocchia interculturale milanese del Carmine, ci presenta, in quanto co-organizzatore, l’esperienza sinodale della Chiesa di Milano, « Chiesa dalle genti ».  Fare da amalgama di tanti popoli che sono là presenti, fare da ponte per le differenze incontrate conoscendone le fatiche, ma mettendo in luce le ricchezze di ognuno, mai rassegnati di fronte alla tendenza che ogni comunità può avere di chiudersi… ne è il senso. Essere ponte tra autoctoni e quelli che vengono da fuori è l’impegno quotidiano che si rivela in questo cammino lento delle cose, delle idee e degli uomini. Piacevolissimo e commovente l’ incontro con P. Stelio FONGARO, ottantenne lucidissimo, preside emerito a Piacenza, che dopo 60 anni di insegnamento di materie letterarie, ci parla della sua Antologia della letteratura migrante, una straordinaria silloge di testi di migranti e di emigrazione. Gli esce dalla bocca, con emozione, tutt’intera la poesia  “Lavandare” di Giovanni Pascoli. “E il vento soffia e tu non tornasti… come sono rimasta… come l’aratro in mezzo alla maggese”. Così, il dolore struggente e solitario, di una donna per il suo uomo emigrato, e mai più tornato.

La visita del museo delle arti rurali, degli usi e costumi della Val Pusteria a Brunico merita tempo e approfondimenti. Al centro la residenza signorile della famiglia Wezl, diventata nobile a fine Seicento per la ricchezza che gli permette l’acquisto di una miniera di rame, la costruzione di una cappella celebrativa e la costruzione dei “masi” per i contadini a loro servizio. Si intravede la genialità di un popolo, che ha affrontato la durezza della natura con l’arte di saperle strappare i frutti, l’artigianato del legno, della pelle e del ferro, la capacità di costruire utensili adatti, di convogliare l’acqua dei monti, di pascolare gli animali con azione religiosa e quasi superstiziosa per la partenza e il ritorno nelle transumanze, la costruzione di molini… È prodigiosa la capacità di adattamento dell’uomo alla natura che lo circonda, di curare le malattie di animali e persone, di ricavare cibo e medicine da ciò di cui dispone, di seguire i ritmi naturali da cui è circondato dandogli senso contemplativo, in vista di migliorare la vita. Quello, che in una parola di può chiamare “cultura”. In fondo, tutto quello che ha apportato in Hochpustertal anche la nostra delegazione Migrantes in ritmo, colore, riflessione, musica e incontri.  Ricordando, in fondo, Thor Heyerdahl, antropologo e scrittore norvegese: “Le frontiere? Esistono eccome! Nei miei viaggi ne ho incontrate molte e stanno tutte nella mente degli uomini…”

don Alberto Balducci
direttore Migrantes e responsabile Missio Marche per Jesi

Emanuele Selleri, un marchigiano a Casa Scalabrini 634

Il 22 giugno scorso Casa Scalabrini 634, modello di accoglienza e integrazione a Roma, festeggia il suo 5° compleanno con un evento online, trasmesso in diretta Facebook e su Youtube, dove può tutt’ora essere visualizzato.

Papa Francesco con la maglia di Casa Scalabrini 634

Emanuele Selleri è il direttore esecutivo marchigiano (osimano per la precisione) responsabile della struttura di accoglienza per migranti. Orgogliosi di questo giovane dal cuore missionario e sensibilità per gli ultimi, ci uniamo con i migliori auguri per il progetto di Casa Scalabrini. Auguri che sono arrivati anche da Papa Francesco, grato e orgoglioso del servizio che svolge questa struttura missionaria, tanto da farsi fotografare con la maglietta del progetto.

Emanuele ha moderato l’evento online insieme a Marianna Occhiuto, responsabile comunicazione e fundraising. Tra gli ospiti, padre Fabio Baggio (sottosegretario della Migrants & Refugees Section), padre Camillo Ripamonti (presidente del Centro Astalli) e Andrea Zampetti (docente dell’Università Pontificia Salesiana). Gli spettatori hanno inoltre potuto ascoltare la testimonianza di un ospite della casa.

Carta di Leuca

Il Mediterraneo come rete di solidarietà: nel cuore dell’estate, Carta di Leuca diventa un meeting internazionale che – attraverso esperienze di volontariato e cammini lungo le antiche vie – si propone come grande occasione per sollecitare un maggiore impegno di tutti verso la Pace.

Di seguito la newletters dell’evento che si terrà dall’11 al 14 agosto:

Lucidio Ceci, una vita al servizio dei bambini bengalesi

Lo scorso giovedì 27 Febbraio è tornato al Signore, all’età di 87 anni compiuti appena una settimana prima, Lucidio Ceci, missionario originario di Montegiorgio, ma vissuto per oltre cinquanta anni in Bangladesh, di cui gli ultimi venti in una regione particolare a statuto speciale, Bandarban, la regione collinare a sud di Chittagong, abitata da popolazioni tribali non bengalesi, in mezzo alle quali nessuno straniero avrebbe potuto risiedere a meno che non possedesse un passaporto con cittadinanza bengalese, come era appunto il suo caso.

Profondo conoscitore della cultura del suo paese di adozione, tanto da aver persino pubblicato, in lingua bengalese, almeno una ventina di testi narrativi per le scuole primarie, ha speso tutta la sua vita al servizio della formazione di maestri per la scuola elementare dei bambini del Bangladesh, convinto che la scuola fosse la prima e basilare forma di ‘umanizzazione’ per una ‘evangelizzazione’ fatta di pura testimonianza in un mondo in cui l’annuncio esplicito non sarebbe stato possibile. Lucidio ha realizzato, in maniera davvero peculiare, in tutta la sua vita, ciò che papa Francesco chiede con forza oggi alla chiesa: uscire da se stessa per andare verso le periferie della storia. Ha vissuto gli ultimi venti anni da solo in una di queste periferie tra le più dimenticate, innamorato della promozione dei diritti umani tra i più poveri dei poveri; a partire dal diritto all’istruzione scolastica per l’apprendimento della lingua nazionale delle migliaia di bambini delle popolazioni tribali delle colline di Chittagong.

Non ha fatto nulla da solo, ma ha promosso tra queste popolazioni lo spirito cooperativo, la passione per l’autosviluppo, l’amore per la propria gente, attraverso la costituzione di una associazione di maestri, la Shuktara Organization, la “Stella del mattino”, grazie alla quale selezionare, promuovere e preparare giovani maestri bengalesi delle valli, da inviare sui villaggi delle popolazioni tribali, in una sorta di volontariato interno, di passione per l’uomo come figlio di Dio qualunque fosse la religione di appartenenza, che qui è quella musulmana, indù e buddista. Ha quindi collaborato con i fratelli di queste tre grandi religioni in un profondo rispetto reciproco, testimoniando tra loro l’amore del vangelo, un amore di pura gratuità senza alcuna contropartita, neanche quella della richiesta di conversione. Ha vissuto in pieno quella forma silenziosa di annuncio che San Francesco chiedeva, nella Regola non bollata, ai suoi frati che fossero andati tra i musulmani; la stessa forma di missione vissuta da Charles De Foucauld in Algeria.

Come associazione Aloe abbiamo seguito passo passo l’attività di Lucidio, a partire dall’anno 2000, ne abbiamo promosso la conoscenza sul nostro territorio, abbiamo raccolto fondi per sostenere il suo progetto scolastico; siamo stati in contatto con lui fino all’ultimo. Abbiamo sempre avvertito il privilegio di averlo per amico e di fargli in un certo senso da retroguardia.

Lo abbiamo conosciuto grazie ad una sua lettera che ci era stata passata dal Direttore del Centro Missionario: parlava di regioni lontane e di gente ancor più sperduta, ma in particolare ci aveva colpito una citazione del poeta bengalese Rabindranath Tagore, una citazione che poi abbiamo scoperto essere stato il faro della sua vita:  “Se chiami i tuoi amici a seguirti e nessuno viene, tu parti da solo, parti senza paura”.  E Lucidio è stato questo: un uomo coraggioso, un testimone del Vangelo che non ha avuto paura di incamminarsi da solo verso la periferia della storia, e così facendo ha fatto conoscere a migliaia di bambini il senso della dignità umana, del loro essere figli di Dio.

Lucidio, nei suoi libri di racconti, ha tradotto, rileggendole attraverso le storie quotidiane delle popolazioni in mezzo alle quali è vissuto, parabole e storie prese dal Vangelo e dalla Bibbia, come pure dalla tradizione indù, buddista e musulmana. Ha trasmesso i più puri valori evangelici senza etichettarli come tali, in quanto valori profondi dell’uomo.  Per questo egli amava definire i suoi libri di racconti, “il vangelo secondo Lucidio”.

Connessi dalla carità

Sarà un Campo di Lavoro e Formazione Missionaria totalmente via web, quello organizzato per quest’anno dal Centro Missionario della Diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola che festeggia 40 anni di attività.

I preparativi sono ormai a buon punto: importanti esperienze di fede, amicizia, condivisione, servizio, animazione e formazione missionaria. Questo e molto altro attende i partecipanti al campo, che si concluderà con una Messa all’aperto in totale sicurezza.

Un grande augurio va alla squadra di ragazzi, guidati da Marco Caverni e Martina Mercurio, che si stanno facendo in quattro per rendere indimenticabile e profonda quest’esperienza. Grazie di cuore, e buon divertimento a tutti!

Il srvizio sui preparativi per il Campo Missionario.

Benedizione missionaria alle famiglie

La messa è finita. La folta comunità della chiesa di Brixton Road dei Padri Scalabriniani,al canto finale,si separa in due e lascia passare il nostro piccolo plotone: uomini e bambine in costumi tradizionali portoghesi rosso-fuoco, bandiere dello stesso colore, orchestrina e… il missionario benedicente. Per noi, tutto comincia adesso. E sarà una battaglia campale fino a notte: si parte per la “visita dello Spirito Santo” (in questo modo, la chiamano da secoli) alle famiglie dei nostri migranti portoghesi.

Così, ogni domenica da Pasqua a Pentecoste per la nostra assemblea eucaristica di migranti si ripete questo gesto di invio in missione. Questa, però, non è altro se non l’immensa città di tutte le razze: Londra dei nostri giorni, città multiculturale per eccellenza. Inedito impegno paolino, stressante e confortante allo stesso tempo!

Sorpresa, meraviglia e curiosità ci attendono presso tutti i vicini di casa. Forse, anche un po’ di quello che non manca mai nel nostro sguardo: una punta di invidia. Gli inglesi si domandano, infatti, il perchè di questo arrivo musicale, inaspettato e quasi danzante: meravigliosa invasione mai vista! Incanto ed emozione, invece, nelle famiglie dei nostri emigranti. Lo si nota subito, entrando, quando baciano le bandiere su cui vi è la colomba dello Spirito, asciugandosi gli occhi con queste… La visita dello Spirito Santo in tempo pasquale colma l’attesa di un anno. E ripete all’estero una tradizione vissuta da secoli nella loro terra, Madeira.

Le tre bambine, ognuna con un cesto pieno di petali di rosa, intonano un’antica, dolce cantilena di preghiera: è per la famiglia che accoglie, per un malato, una ragazza da sposare, un bambino appena nato… Il missionario fa la sua calma benedizione tra una nuvola di petali lanciata su tutti i presenti, che in ogni casa tra parenti, vicini e invitati sono già un piccolo popolo. Uno del nostro drappello impugna alto il crocifisso, che tiene in mano tutta la giornata. La chitarra di un altro e la vecchia fisarmonica riprendono voce, mentre Filiberto, pizzicando il suo mandolino, si abbandona a un canto struggente: “Migrante sou, chora Linda…”(sono migrante, piangi Linda)

Sì, è la loro stessa vita che canta, mentre un nodo alla gola ti afferra di emozione e il messaggio tra pareti domestiche si fa nella sua verità ancora più autentico. Perfino, toccante.

La vita dispersa  e tormentata di ogni migrante è presentata oggi come su un piatto d’argento: la musica gonfia la commozione, la parole si fanno universali. Mai abbastanza si capirà la tessitura umana del cammino degli Abramo di oggi, dove speranza, illusioni, audacia, scoraggiamento e nostalgia si intrecciano insieme, a volte drammaticamente. In fondo, è lo Spirito di Dio che spinge questi uomini e queste donne a cercare una vita degna di essere vissuta…  Lo comprendi, qui e ora.

In ogni casa che si visita è una boccata potente di ossigeno di fede, del senso delle origini e del comune destino. “Sono nato per nascere!” scriveva Pablo Neruda. Sì, a una vita di dignità. Come per incanto, ognuno coglie in questi momenti il senso del suo stesso avventuroso cammino… fatto insieme con Dio. Ed è allora che viene scoperta una lunga tavolata: come per miracolo vi appare ogni bendidio, con specialià tradizionali e dolci fatti in casa. È l’inizio della festa! Ma per noi c’è appena il tempo di prendere al volo qualcosa e via, cantando… altre case di migranti ci aspettano in questa metropoli. E le emozioni ricominciano…

Fattasi notte, infine, il nostro drappello di uomini e di bambini si trascina fino alla nostra chiesa, per un ultimo momento di preghiera e di ricordo. Sì, in una galoppata simile tra appartamenti, casette e condomini di una Londra smisurata solo i volti ora vi resteranno impressi. Volti di migranti. Con i loro occhi aperti sul mondo di domani, forse più solidale e più fraterno. Grazie anche a loro.

Renato Zilio
Autore « Dio attende alla frontiera » EMI