Pentecoste africana

La processione di entrata nella cattedrale di Nampula (Mozambico) è una lenta e solenne immersione in un’enorme folla nera. Questa riempie tutta la vasta e bianchissima cattedrale di stile coloniale. Volti neri, allineati, fittissimi, con gente in piedi alle tre porte di entrata. Cantano tutti in portoghese, ma il loro volto è di un bel colore ebano-scuro, africano. Con in più i tamburi che colorano ancor meglio l’atmosfera di qui…

Si avanza con la processione tra due lunghissime ali di confirmandi che oggi sono quasi duecento. Danzano, pur restando fermi. Ancheggiano ritmicamente, con quella stupenda eleganza che ti fa avanzare come in un viale di giovani piante, belle e ondeggianti. “La messa da noi è sempre una festa!” mi ricordava in sacrestia un prete nero. Verissimo. Arrivati all’altare, trecento occhietti su sfondo scuro ci attendevano, puntati verso l’assemblea. Tutti i bambini sono ammucchiati, assiepati nello spazio absidale. Attentissimi.

Terminato il canto, le prime parole dell’arcivescovo monsignor Tomé cadono sulla folla come le prime, attese gocce di un acquazzone africano. Parole benefiche. “In queste due-tre ore insieme, non tanto di folclore, ma di intimità con Dio, vogliamo pregare per questi giovani cresimandi. E portiamo nella nostra preghiera anche le migliaia di rifugiati nella nostra diocesi e i migranti del Mozambico.” La folla assorta in questa domenica di Pentecoste, festa delle lingue e delle culture, assorbe le sue parole come una spugna. Mentre mi dico, tra me e me: “Qui siamo veramente in Africa, il tempo non si conta mai…”

E così comincia il canto: i tamburi, le voci, le mani, il loro ritmo con due colpi e due pause, un lunghisssimo grido corale al suo acme, al punto più alto… si spengono, infine, d’incanto. E si piomba subito in un silenzio perfetto, immobile. La miriade di volti neri ti fissa dall’assemblea con gli occhi ben aperti. Lunghi momenti di attesa… e una vera emozione mi prende.

Poi, la parola esce dalla bocca del lettore. Viene offerta con gesto lento, come gustandola prima, ruotandola nel palato, assaporandola. Parola calma, sonora e solenne. Vedi subito dagli occhi e dal silenzio come ognuno la riceve: la attende, la gusta, gli risuona nelle tempie, gli fa brillare lo sguardo, scende nell’anima, in profondità. Comprendi, allora, concretamente che cosa vuol dire una “civiltà della palabra”  come questa africana. La parola qui è sacra. È sintesi di cuore, di corpo e di mente. E ancor più dell’amore di Dio, fattosi Parola lui stesso. Essa si posa nella vita di ognuno subito dopo l’ascolto e la penetra per darne forza, bellezza e coraggio.

E corro con il pensiero alle nostre liturgie: letture non proclamate, ma lette semplicemente, spesso in fretta, come una vecchia poesia imparata a scuola. Senza a volte neanche averle precedentemente assaporate, comprese o interiorizzate… Le parole scorrono veloci e il lettore, pure, che sparisce subito dopo con movimento rapido.

A qualche chilometro di distanza dalla nostra splendida cattedrale, nella povertà estrema di un campo di quasi 5.000 rifugiati, padre Rodenei, missionario scalabriniano, celebra la Parola di Dio con loro. È un missionario brasiliano di fronte a un’assemblea di congolesi, di burundesi, di ruandesi… rifugiati in un Paese straniero. Egli anima così la speranza e l’esistenza di uomini e di donne, che vivono ormai solo di esilio e di Dio. Anche il popolo ebreo, per lunghissimo tempo, si nutriva così.

Oggi, per questi immigrati la parola del Signore diventa fuoco. Si fa spirito di fortezza e di resistenza nelle loro esistenze fragili e tormentate. Spirito di coraggio e perfino di amore, nonostante tutto. Sì, spirito di Dio. Per loro, oggi, è veramente Pentecoste.

Renato Zilio
Autore di “Dio attende alla frontiera » EMI Ed.

Scuola missionaria di Macerata: ascoltare, conoscere, donare

Eravamo partiti come al solito ad Ottobre (2019) per il nuovo percorso di scuola diocesana per i giovani che desideravano nel  2020 fare un’esperienza estiva in terra di missione. Dopo il 3° incontro tutto si è fermato.

Che cosa fare? Forse lo Spirito Santo questa volta siamo riusciti a farlo parlare. Abbiamo ripreso i contatti con gli iscritti, e se anche da 35 siamo rimasti in 22 circa, a ritrovarci sui social,  ne siamo soddisfatti. La proposta avviata è la seguente: le “terre” che dovevamo visitare si sono presentate attraverso dei brevi video. I cappuccini del Benin e dell’Etiopia, i frati minori in Togo, una Casa famiglia dell’Apg23 in Albania, i Saveriani in Brasile.

Abbiamo poi proposto ai giovani di dividersi in diversi “laboratori” che in questa estate vivranno una sorta di amicizia a distanza per sperimentare la missione come scambio fra le chiese. Ci sarà il tempo dell’ascolto reciproco, il tempo dell’andare in profondità nella conoscenza ed infine il tempo di scambiarsi i doni ricevuti.

È un viaggio diverso dagli altri, non sappiamo cosa veramente potremo sperimentare, sta a noi vedere quanto metterci in gioco e quanto andare in profondità. Questo itinerario verrà accompagnato da un sussidio (scaricabile alla fine dell’articolo) che aiuterà a scandire le tre tappe della proposta missionaria di quest’anno. Il mandato del nostro Vescovo, ci ha dato ulteriore slancio per vivere appassionatamente quest’esperienza di chiesa che incontra un’altra chiesa.

Don Sergio Fraticelli (direttore CDM)

Prima Comunione in terra inglese

Maeve, Oroh, Sasha, Niamh, Laura… i nomi sfilano con un bel sorriso inglese, africano, indiano, portoghese o italiano. Sono una ventina gli adolescenti. Composti, in silenzio, radunati in sacristia, è il primo dei due gruppi di quest’anno. Ne raccolgo i nomi… All’interno della chiesa Corpus Christi di Brixton, dalle lunghe e antiche vetrate gotiche, la gente, intanto, attende paziente, cullata dal ritmo del pianoforte. Ogni banco ha una famiglia e il posto segnato per il loro ragazzo. Oggi è il giorno della Prima Comunione.

Il modo di vestirsi è curato, non ostentato. Due settimane fa, le consegne ai genitori come prepararsi… Un unico fotografo ufficiale, per conservare il clima di preghiera. Solo alla fine la libertà per ognuno di fare delle foto e sarà, come al solito, una cascata divertita di flash. “Le bambine potranno vestirsi in bianco o color crema, ma non è questo l’essenziale” informa un foglietto distribuito, “mentre i ragazzi lo saranno in maniera decorosa”. Nello spirito pratico degli inglesi vi si consiglia anche di prendere il tempo di ringraziare la catechista, di fare digiuno almeno un’ora prima, di seguire i canti e di avvertire le persone invitate di una cerimonia piuttosto lunga… All’ultimo punto, una parola solamente: “Enjoy!” Vivi, per davvero, questo momento!

I primi passi sono magici. Viene chiamato il primo ragazzo, che dalla sacrestia avanza quasi fino all’altare. Mamma e papà sono già lì: con l’acqua santa da un grande vaso in cristallo gli tracciano una croce sulla fronte. Dolcemente, come se con le loro mani aprissero un fiore. Lui, si fa, poi, lentamente, un segno di croce sul corpo:”I believe!”(io credo) sussurra. “È il legame con il loro battesimo!” mi soffia Padre Tom. Così, presentano all’assemblea – che guarda incantata – il loro dono di Dio e a Dio il frutto del loro amore. Meditativo, dolcissimo, il commento musicale del pianoforte. Un clima mistico vi invita ad assaporare questi pochi istanti di eternità. E allora, si sente pronunciare il secondo nome… “Life is first, love is second, understanding is third,” si ripete qui in terra inglese e sembra una regola d’oro.

La celebrazione continua corale, intensa, ritmata. Alla comunione, si presenta solo un bambino; dietro di lui un grappolo di sei persone: i genitori e qualche parente tra cui il nonno. Chi prende la comunione, chi semplicemente una benedizione. Poi lentamente se ne vanno e lentamente arriva il secondo bambino, attorniato anche lui dal grappolo dei suoi… La fede nasce e cresce in famiglia, si nutre dell’esempio dei suoi, si rafforza con la preghiera tra le pareti domestiche. Get involved. Sì, anche “la famiglia è impegnata in questo cammino”, mi ricorda qualcuno. Viene proposto loro anche il calice, come ogni domenica in tutte le chiese inglesi, ricordando le parole del Signore: “Prendete e mangiate, prendete e bevete!”

Quest’assemblea di fedeli dai volti, i colori e le culture differenti sembra un vero mosaico. E la coscienza in questi ragazzi di far parte dello stesso corpo di Cristo è un tesoro impagabile. È lo stesso stupore che vi prende quando si entra in una chiesa inglese, dove razze e culture più diverse dal Caraibi all’India si ritrovano gomito a gomito. Credere insieme allo stesso Cristo, che riunisce l’umanità intera, non è forse un miracolo dei nostri tempi? Avere, così, occhi nuovi e vedere la differenza dell’altro e della sua cultura senza alcuna paura, come una vera ricchezza. Si assapora il gusto della comunione, dell’unità.

Anche per noi, per le nostre parrocchie italiane sarà una delle grandi sfide: insegnare a vivere nel mondo d’oggi. Educare all’apertura di mente e di cuore.  Non era questa l’unica preoccupazione del Cristo: incontrare, ascoltare, accogliere l’altro in tutta la sua diversità? Per ricordargli quanto egli fosse prezioso allo sguardo di Dio. Nell’originalità del suo cammino.

Renato Zilio
Autore di “Dio attende alla frontiera” EMI 30.ma edizione

Connessi dalla carità

FANO – “CONNESSI DALLA CARITA’” è il tema del campo missionario diocesano 2020 organizzato dal Centro Missionario della Diocesi in collaborazione con la Pastorale Giovanile diocesana, la Caritas diocesana, l’Ufficio diocesano Migrantes e i missionari Saveriani.

Dal 19 luglio al 25 luglio restate connessi con noi su tutti i nostri canali per vivere e fare esperienza insieme ai missionari di cosa vuol dire essere connessi dalla carità.
Vista la situazione non potremo lavorare “gomito a gomito” ma lavoreremo nel nostro piccolo per fare servizio e per metterci in gioco partendo dalle nostre mura domestiche con l’aiuto di padre Diego Pelizzari, missionario saveriano che sarà con noi direttamente dalla sua missione in Brasile.
Con questo vogliamo dirvi che quest’anno il lavoro, la formazione e la festa, che caratterizzano da sempre il campo missionario, non verranno a mancare ma li vivremo da un nuovo punto di vista, quello che ci sta accompagnando da diversi mesi ormai.
Proprio come dice il tema, possiamo sentirci, sebbene ognuno a casa propria, connessi, uniti e legati insieme, non solo dalle tecnologie ma anche dallo spirito missionario che accomuna, ormai da 40 anni, tutti i partecipanti del campo.

A breve vi comunicheremo tutti i canali e le piattaforme digitali che utilizzeremo per restare più connessi che mai, senza farci mancare la possibilità di celebrare una messa finale insieme all’aperto, in totale sicurezza!

Le iscrizioni al campo verranno effettuate con il classico modulo online dal 21 giugno al 10 luglio!

Siete tutti invitati a partecipare per rendere questo campo missionario davvero indimenticabile!

Marco e Martina, direttori CMD 2020

La danza del pane

Ormai in prossimità della festa del Corpus Domini, del “Pane di vita”, le nigeriane me ne parlano ancora, me lo ricordano… Lo rivivono con un’emozione segreta, intensa. E vorrebbero ripetere l’esperienza appena possibile: la danza del pane. Era nell’estate scorsa, nel caldo afoso di Jesi, vecchia Marca anconetana, quarantamila abitanti nel fondo di una pianura, stretta da colline come nel fondo di un catino. Ma più di un centinaio di Nigeriani, vestiti a festa con i loro lunghi abiti multicolori, provenienti da tutte le Marche, non si sono scoraggiati. Anche loro risentono dell’afa. Le  donne mi ripetevano: “In Nigeria camminiamo per ore con il carico sulla testa a 40 gradi… ma qui non ce la facciamo.. Ma oggi è festa, Mothering Sunday, ci ritroviamo tra lontani…” E inizia la Messa. E così pure i loro canti ritmici, le  movenze del corpo accompagnate dal battito delle mani, gli strumenti a percussione e le voci soliste con quelle corali che non possono non far sciogliere anche i più estranei in una vibrazione, che accompagna i ritmi naturali del corpo: il respiro, il passo, il battito del cuore. Qualcosa ti prende anche se non si spiega come o perché. Ti prende e basta. E non ti lascia come ti trova: ti scuote, ti sbalza, ti sovverte, ti butta sottosopra. È un incanto…

All’offertorio, dopo l’omelia di don Cristiano, prete diocesano, italiano ma poliglotta, ecco si snoda la danza del pane. Una enorme pane rotondo di quasi cinque chilogrammi, croccante, dorato, profumatissimo, offerto da un antico panificio di Loreto, è portato in processione. Porta una grande, bella croce al centro. Ed è come un’ostia gigante, che parla della vita dell’uomo e della vita di Dio. E di un mondo che sa trasformarsi, per raggiungere entrambi. Tutte le donne seguono in una fila interminabile, che solca lo spazio della chiesa. Quasi in un unico corpo, un unico passo, un unico canto. I ritmi della musica assecondano movenze di corpi flessuosi di uomini, di bambini dai vestiti etnici, lunghi, fantasiosi e coloratissimi. Mosse dolci, ritmate, lente. Con un’eleganza soave, armoniosa, la lunghissima fila va verso l’altare… in una gestualità che sa di grande sacralità. Quel pane prolungherà l’effetto dell’Eucaristia nel banchetto che poi segue. Verrà spezzato in piccole parti, consegnato ai vari gruppi e famiglie, perché per i giorni seguenti rimanga un po’ di sapore di festa, sapore di fraternità che si è celebrata insieme. E ricordo, in fondo, del senso di ogni vita di migrante. Vivere è saper spezzare la propria esistenza come il pane. Romperla… sì, rompere tutti propri legami, le proprie alleanze, le proprie abitudini. Ma per far vivere, nutrire gli altri. Per far vivere il mondo. 

Don Alberto Balducci, Direttore Migrantes JESI

Lavori d’incontro

Lavori d’incontro: questo il titolo di una serie di appuntamenti per una riflessione sui temi del lavoro che si intrecciano con la pandemia e le migrazioni. Alla base dell’organizzazione degli incontri un tavolo di associazioni di Macerata che comprende l’ANOLF (Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere), il CMD (Centro Missionario Diocesano), la Caritas diocesana, il Centro di Ascolto e di Prima Accoglienza e Refugees Welcome (gruppo Macerata). Di seguito la locandina con i dettagli.

Dolomiti & emigrazione

Nel superbo quadro delle dolomiti della Val Pusteria, in un contesto interculturale e bilingue, confinante con gli estesi boschi dell’Austria e a una manciata di minuti da Cortina d’Ampezzo, è invitata verso fine agosto la Commissione Migrantes e Missionaria delle Marche. Può sembrare paradossale. Di fronte a scenari naturali particolarmente suggestivi, immobili e antichissimi con i loro 280 milioni di anni – le dolomiti, recentemente dichiarate Patrimonio dell’umanità – si rifletterà, invece, sulla mobilità umana. Sì, in un paesaggio immutato da tantissimi anni, ci si tufferà nelle sfide attuali del migrare, dei cambiamenti collettivi, delle modificazioni societarie.  E questo – come in un trittico –  dal punto di vista culturale, sociale e religioso.

Scopri di più sul contenuto dell’incontro oppure su come partecipare.

Hotel termale Piandimaia, sede dell’incontro della Commissione Migrantes e Missionaria delle Marche.

Qualche dettaglio sui contenuti

Aldo Pashkja Skoda, giovane e brillante direttore del SIMI di Roma, condurrà l’approfondimento delle differenti tematiche. Mariglena Gonji, dell’Università di Urbino, lo farà, invece, dal punto di vista psicologico. La sua idea-chiave è la forza terapeutica, per il migrante, del narrare. Perché questa modalità di esistere – nel racconto di sé e della propria avventura – guarisce le ferite, tonifica l’autostima, conferma la resilienza di fronte all’altro. Il luogo di questo incontro estivo si chiama Piandimaia, un antico hotel termale della fine del XVI secolo, ancora carico di charme per le sue «boiseries» e le sale dipinte ad affresco. Accanto, una sorgente d’acqua, comparabile per analisi alle qualità della Fiuggi, porta il nome beneaugurante di  «fons salutis». I secoli sono passati per questo maniero, i millenni per le montagne; per l’uomo, invece, è sempre tempo di migrare… Come un’eterna condanna di Sisifo, con i suoi corsi e ricorsi. Ma anche quella straordinaria capacità umana di piegare la storia. “I sistemi si oppongono, ricorda un proverbio, gli uomini si incontrano.” Sapendo, in fondo, che «vola solo chi osa farlo» come annota Sepúlveda.

Informazioni di partecipazione

Il soggiorno è previsto da lunedì 24/08 (pomeriggio) a sabato 29/08 (mattina).
Costo: 230€ (vitto, alloggio, formazione).
Programma giornaliero: la mattina sarà dedicata agli incontri di formazione, i pomeriggi a visite e passeggiate (tra cui il famoso percorso in bicicletta Dobbiaco-Lienz, 43 km tutti in leggera DISCESA lungo il fume Drava, tra boschi, castelli e prati, con ritorno in treno).
Iscrizione entro il 15 giugno con acconto 50€.

Europa, terra di missione

Padre Renato Zilio, missionario scalabriniano e direttore Migrantes per le Marche, è stato per 37 anni emigrante con gli emigranti, annunciatore del Vangelo ovunque nel mondo, dall’Africa all’Asia. Ma il suo cuore non ha mai smesso di battere per l’Europa, il Vecchio continente, sempre bisognoso della Parola di Dio.

Parigi, Ginevra, Londra e Marsiglia le città Europee dove ha dedicato il proprio carisma missionario all’incontro inter-religioso e interculturale, all’aiuto e alla solidarietà reciproca. Ad arricchire la sua esperienza una parentesi a Gibuti, Repubblica islamica nel Corno d’Africa, dove si dovevano percorrere 400 km nel deserto per andare a celebrare una messa con sei o sette cristiani. Spesso la sua opera missionaria lo ha portato a contatto con realtà povere e di periferia, ma ricche di risorse umane, luoghi dove si impara a “far posto all’altro e mettersi in ascolto”. Luoghi che offrono una profonda occasione per incontrare e conoscere Dio.

Padre Zilio è una mappa umana, su cui non sono tracciati confini. Le sue esperienze di vita missionaria sono raccolte nel libro “Dio attende alla frontiera”, già alla sua 29esima edizione.

Di seguito, il link all’intervista completa di Loredana Brigante a Padre Zilio, per Popoli e Missione:

Il racconto di Padre Renato su Marsiglia:

Tutto questo mi sembra, in fondo, averlo vissuto recentemente nella città più magrebina d’Europa, un vero porto di mare in ogni senso, Marsiglia. Un crogiuolo etnico dai mille volti, lingue e colori, e per ben un terzo di popolazione musulmana.… Città, pure, dai mille problemi, dovuti, tra l’altro, al massiccio fenomeno di immigrazione. Ma anche ricca di tante risorse, soprattutto umane.  Per qualche anno ho vissuto alla parrocchia del quartiere «Belle de Mai» nelterzo arrondissement. Era il «quartiere degli italiani» già da fine Ottocento, per le vicine fabbriche di tabacco, di fiammiferi e di sapone, e il loro gran bisogno di manodopera. Poi, con la loro chiusura e la massiccia presenza araba il quartiere in questi ultimi decenni si è impoverito talmente da essere considerato «il quartiere più povero d’Europa». In chiesa, alla domenica, si incontrano capoverdiani, vietnamiti, spagnoli, africani, qualche vecchio italiano, qualche francese… un’assemblea multicolore, dalle tante fisionomie diverse. Un vero popolo di Dio. I ragazzi più vivaci del quartiere, poi, li incontriamo nella vicina rue Crimée, all’Associazione «Enfants d’aujourd’hui, monde de demain». Sono quasi duecento ragazzi musulmani : irrequieti, affettuosi e sempre distratti. Masticano arabo e francese, vengono qui tutti i pomeriggi per il sostegno scolastico, per fare i compiti, approfondire problemi e conoscenze. È la loro formazione, infatti, che le suore scalabriniane e padre Elia con una sessantina di volontari coltivano con tutte le loro energie. I ragazzi e le donne nei corsi di alfabetizzazione trovano qui uno spazio di libertà, di serietà e di promozione. E così si sente dire, un giorno, da una mamma algerina rivolgendosi alla suora: «Sai, io ringrazio ogni giorno Allah, perchè ci siete voi. Io non sono mai stata a scuola, non saprei farlo, ma voi preparate il futuro di mio figlio!» 
Per me qui è il ritrovare l’Africa in Europa. Per il carisma scalabriniano un’autentica, formidabile frontiera.

Tempo di coronavirus, tempo di miracoli…

Porto Recanati. Anche in tempi di coronavirus, il tristo palazzone si stagliava alto e severo, quasi impassibile, imbottito di paraboliche e di stracci stesi. Accanto, il dolce profilo del mare Adriatico sembrava rassegnato di tale prossimità. Di tanta audacia. È il famoso Hotel House, definito dalla stampa locale « una vergogna nazionale ». Costruito fine anni ’60, sui bordi del mare come hotel estivo per turisti, i suoi sedici piani, con circa 500 appartamenti si sono riempiti ben presto di circa duemila immigrati di 40 nazionalità differenti.  Un ghetto verticale. Otto ascensori che non funzionano, l’acqua potabile portata già a suo tempo da un’autobotte, mucchi di immondizia in ogni dove. Un popolo acquartierato nel degrado.

Unica nota di umanità, all’ottavo piano la presenza dell’ambulatorio del Dott. Francesco Paolo, che qui lavora come alla frontiera, e la vive come una vera missione. L’abbiamo visitato quasi per sostenere la sua presenza di resistente e la sua opera coraggiosa con il Direttore generale Migrantes Gianni de Robertis, giusto un anno fa. Malattie qui? le più varie, ma la peggiore la depressione delle donne. L’ambiente logora lo spirito. Fin tempo fa, anche un’associazione locale, la Tenda, era impegnata nell’animazione pomeridiana di un gruppo di bambini, in un paio di locali al pianoterra. Negli appartamenti, gli spazi già limitati, stanno ancora più stretti, in questi mesi di clausura generale. Impossibile per Fatima, ventenne, universitaria a Macerata, preparare gli esami, visto che l’unica stanza possibile è come sequestrata dal fratello maggiore. Sarà, forse, la predominanza maschile della cultura magrebina.

In questo difficile contesto, i giornali locali, settimane fa, uscivano a caratteri cubitali «Grandi pulizie all’Hotel House, mobilitate tutte le etnie». Spiegando, in tempi di crisi sanitaria, che si era instaurato un « nuovo modo di vivere condiviso tra le etnie ». Qualcuno del posto la definisce perfino « una volta storica », in una grande sinergia tra tutte le etnie presenti, con mascherine e, a volte, tute mimetiche. Vedere, così, senegalesi e pakistani lavorare insieme per prendersi cura del loro habitat è sembrato un vero miracolo. Veniva in mente quanto affermava anni fa una religiosa francese, suor Geneviève, di un enorme condominio degradato della banlieue parigina. Solo quando era riuscita – dopo mille tentativi e una montagna di pazienza – a convincere i giovani di quel condominio imbrattato e deprimente a dare essi stessi il colore e riqualificare le scale e i locali comuni, era successo qualcosa di strano. Come una rivoluzione indolore. Un nuovo clima di pulito, faceva respirare gli animi dei residenti un’aria di primavera. Sì, di umanità ritrovata. 

CMD Fano: i preparativi per il campo missionario online

Il sorriso e la voglia di fare dei giovani del Centro Missionario Diocesano della diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola, nei quali la Speranza, la Fede e l’Amore reciproco sono ben più grandi di ogni quarantena. Questo lo spirito che trasmette il video di lancio per l’iniziativa della diocesi volta a festeggiare i 40 anni del Campo Missionario.

INTERVISTE DOPPIE….VERSO I 40 ANNI #CMDFANO!

In occasione dei 40 anni #cmdfano, da sabato 9 maggio, e ogni 15 giorni, appuntamento video con i direttori dei campi missionari degli anni precedenti: le interviste doppie CMD!…E per chi non l'avesse ancora fatto ecco il link (https://bit.ly/2RGTtfg) per ordinare le felpe che sostengono le nostre attività e i nostri missionari nella lotta al #CoronaVirus ! #cmdfano40anni

Pubblicato da Centro Missionario Diocesano – Fano su Lunedì 4 maggio 2020

Ogni 15 giorni il CMD pubblicherà un video intervistando i giovani che negli anni scorsi hanno coordinato il campo missionario e l’attività giovanile estiva. Storie, ricordi e aneddoti di quanto hanno vissuto raccontati in stile “intervista doppia”.

Oltre che celebrare e condividere la gioia di 40 anni di campo missionario, il CMD e i suoi giovani stanno lavorando per poter svolgere online il campo di quest’anno. Potete seguire su Facebook tutte le novità di questa bella iniziativa!